Gela. “Loco al gentil opra non v’è, non resta che far torto o patirlo”,
queste le parole che Alessandro Manzoni mette in bocca ad Adelchi, figlio di Desiderio e re dei Longobardi, nel momento in cui viene sconfitto, anno 774, dalle forze di suo cognato, Carlo Magno, che aveva ripudiato Ermengarda nell’opera omonima.
“A Gela, dal momento in cui le attività primarie e secondarie vengono completamente distrutte ad opera dell’Ente di Stato, tutto è possibile e ogni gelese vive nella precarietà più assoluta. Ogni cittadino si sente in dovere di fare tutto ciò che fa comodo ai propri interessi economici e sociali.
La politica e il sindacato, al servizio dell’industria, fanno solo ed esclusivamente gli interessi personali quasi a dimenticare i problemi sociali che attanagliano la popolazione. Il sindacato, con l’introduzione dei consigli di fabbrica e l’abolizione delle commissioni interne, acquista un potere favoloso. Vengono concesse dalla struttura aziendale molti permessi che utilizzano i dirigenti sindacali per non andare più a lavorare. Infatti sono andati in pensione uscendo dal lavoro usufruendo del distacco sindacale. Questi privilegi vengono gestiti direttamente dai dirigenti sindacali e l’esecutivo del Consiglio di fabbrica viene sottomesso inesorabilmente alle tre confederazioni: Cgil, Cisl e Uil.
I tre segretari confederali gestivano tutto anche la contrattazione aziendale per le assunzioni in stabilimento. Un atteggiamento che consentiva all’azienda di manovrare ogni cosa e le iniziative dei singoli venivano bocciate ancora prima di essere valutati, perché il sindacato , come affermavano alcuni dirigenti sindacali è “un rullo compressore, dove passa cancella ogni cosa”.
La politica, asservita, non trovava spazio se non per fare qualche assunzione (queste erano divise in modo paritetico tra le tre confederazioni), ottenere avanzamenti di categoria, permessi retribuito, per restare sempre al servizio dell’azienda.
Dov’erano i pensatori gelesi? Erano, probabilmente, impegnati come tutta la cultura Italiana a sciogliere il dilemma se parteggiare per il filosofo Platone o per il filosofo Aristotele, considerato che il grande pittore Raffaello nel magnifico dipinto “La scuola di Atena” rappresenta Platone con un dito puntato verso il cielo e Aristotele con una mano rivolta verso la terra. La disputa, se la filosofia deve guardare solo verso il cielo o la terra, coinvolge tutta la cultura mondiale.
Ma i filosofi gelesi prezzolati hanno fatto un scelta significativa, guardano verso il cielo e non si accorgono di quello che avviene sulla nostra terra.
Gli storici, raccontano la storia dei vinti, perché sono i vinti che scrivono la storia e non si preoccupano di tutto ciò che i vinti fecero ai vincitori. Permettetemi un breve cenno sulla storia della unificazione del Regno d’Italia nel 1860. Non posso credere che storici con grande cultura non conoscono i massacri di Casaldunu, Pontelandofi, Bronte, Palermo sette e mezzo, la fucilazione di Angelina Romano, bambina di nove anni colpevole di non avere svelato ai piemontesi dove si nascondevano i suoi familiari. Avvenimenti avvenuti ad opera del generale Cialdini, al comando dei Savoia, e di Cavour. Argomenti che spero trattare in seguito. Oggi ritorniamo alla nostra storia, quella più recente, al momento in cui le forze Americane sbarcano proprio nella coste gelesi. Gli storici locali, soffermandosi sull’argomento, si sono preoccupati di portare alla nostra conoscenza i fatti compiuti dai valorosi e generosi Americani, che distribuivano a noi bambini caramelle e cioccolatini.
Ma delle granate lanciate dal mare a lunga gittata, che uccidevano tanti civili e militari Italiani, nessuno ha mai fatto cenno. Perché introdurre questo significa nominare quelle persone (partigiani) che nelle campagne vicine erano in contatto con gli Americani che venivano informati di ogni movimento sul territorio. Ma noi siamo uomini di “panza” e rimaniamo muti perché siamo stati definiti “briganti “ dai Tosco-Padani bravi a cancellare la nostra storia e dignità, rimanendo soltanto oggetti di studio antropologico per Lombroso, pensatore torinese, che fece costruire un museo a Torino (ancora esistente) con i teschi dei nostri concittadini briganti. Noi, non siamo autorizzati a parlare del passato, perché scoperchieremmo cose orribili, mentre pedissequamente dobbiamo parlare delle fosse Ardeatine e ricordarle ogni anno per non dimenticare, invece, veniamo pagati ed elogiati se dimentichiamo il nostro passato.
Le fosse Ardeatine, furono provocate dai partigiani italiani che hanno governato l’Italia subito dopo la grande guerra, quando in via Raselli a Roma uccisero 30 tedeschi (nessuno ne parla) e per ritorsione i tedeschi uccisero 300 civili innocenti, rapporto 1 a 10. Ma il gen. Cialdini comandante dell’esercito piemontese , per 4 piemontesi morti massacrò due città di circa 5000 abitanti a paese , senza dichiarazione di guerra. Di queste cose non possiamo parlare. perché i morti erano meridionali perciò briganti mentre gli attentatori delle fosse Ardeatin erano partigiani, perciò futuri uomini di governo. Noi ancora oggi continuiamo a ricordare i massacratori del meridione e nessuno si preoccupa di cancellare dalla nostra città i nomi degli uomini più pericolosi quali: Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Cavour, Francesco Crispi, Giovanni Verga, Nino Bixio e tanti altri che nomineremo in seguito. Questo per ripulire la nostra città e cominciare a prendere coscienza della nostra storia.
Un discorso toponomastico che bisogna fare, ma da questa politica asservita alla massoneria dominante non mi aspetto assolutamente niente, tranne la difesa di questi assassini. Noi Italiani siamo abituati a osannare Vittorio Emanuele e Badoglio quando, l’otto settembre del 1943, firmano l’armistizio con le forze alleate e scappano velocemente con una nave all’estero lasciando l’esercito italiano nello sbandamento più totale, in mano ai tedeschi che né massacrano tantissimi. Ma non è niente, il fine giustifica i mezzi, siamo stati liberati da assassini.