Gela. Due anni e otto mesi di reclusione e la confisca di beni per un valore di dodici mila euro. Il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D’Amore, a latere Ersilia Guzzetta e Tiziana Landoni, ha condannato Gaetano Di Mattia. Per i giudici, infatti, avrebbe avuto un ruolo nei prestiti ad usura, garantiti ad un suo ex collega di lavoro. Il dipendente di banca è finito a processo, dopo la denuncia sporta dall’ex collega, vittima della morsa dei soldi a strozzo, a seguito di una serie di problemi economici. Per i pm della procura, sarebbe stato Di Mattia a mettere in contatto l’ex collega, poi deceduto e comunque parte civile in giudizio con gli avvocati Giacomo Ventura e Maria Elena Ventura, con il fratello Roberto, già condannato in via definitiva per gli stessi fatti. I poliziotti del commissariato, dopo la denuncia, iniziarono a svolgere indagini, effettuando perquisizioni anche nei confronti di Gaetano Di Mattia. Nel corso dell’inchiesta, emersero pesanti minacce rivolte da Roberto Di Mattia all’altro dipendente di banca, che aveva ottenuto i soldi ad usura.
Gaetano Di Mattia, difeso dall’avvocato Francesco Enia, ha sempre negato di aver favorito i prestiti e anzi avrebbe tentato di aiutare l’ex collega in difficoltà economica. Per il difensore dell’imputato, gli unici interventi di Gaetano Di Mattia nell’intera vicenda sarebbero collegabili alla sua attività sindacale, all’interno dell’istituto di credito, nel quale lavorava insieme al collega. Per il difensore, come ribadito durante la discussione, non sarebbero emersi elementi di responsabilità dell’imputato, rispetto all’accusa di usura. Il collegio, però, ha accolto per intero le richieste formulate dai pm della procura, con i sostituti Mario Calabrese e Luigi Lo Valvo, riconoscendo alla parte civile anche il diritto al risarcimento dei danni, come chiesto dai legali, che invece hanno sempre collegato Gaetano Di Mattia all’attività usuraia del fratello Roberto. Sfiancato dalle continue richieste di soldi a tassi maggiorati e dalle minacce, la vittima scelse di rivolgersi ai poliziotti del commissariato. A questo punto, la difesa potrebbe decidere di impugnare il verdetto in appello.