Gela. “Quando comandavo la famiglia, le estorsioni in città erano a tappeto”. “Prendevo tutto quello di cui avevo bisogno”. Così, l’ex vertice di cosa nostra locale Rosario Trubia ha deposto, in videoconferenza, durante il dibattimento che si sta celebrando ai danni di Giuseppe Novembrini e Franco Scerra, accusati di aver riscosso il pizzo per conto dei clan. Nel mirino del gruppo di cosa nostra, tra le tante attività economiche, finirono anche uno stucchificio e un grande negozio di giocattoli, entrambi in via Venezia. “Ricordo molte bene – ha detto Trubia – che i lavori di rifacimento della mia abitazione in città e della villetta in campagna vennero effettuati con il materiale dello stucchificio. Prendevo tutto quello che era necessario, ovviamente scalandolo dall’estorsione mensile. Mandavo i miei ragazzi a prendere il materiale oppure a riscuotere i soldi. Franco Scerra ha l’unica colpa di avermi dato la disponibilità della sua moto ape. Con il clan, però, non aveva nessun rapporto”. Il collaboratore ha risposto alle domande formulate dal pubblico ministero della Dda di Caltanissetta Maria Carolina De Pasquale e dai legali di difesa, gli avvocati Flavio Sinatra e Maurizio Scicolone. Trubia, inoltre, ha confermato che sotto estorsione era finito anche l’allora titolare della rivendita di giocattoli. “A riscuotere – ha spiegato – mandavo i ragazzi più fidati. Anche Peppe Novembrini si muoveva per me. A lui, affidavo le estorsioni di aziende che avevano i capannoni fuori città. Aveva l’automobile e poteva muoversi meglio degli altri. Quando avevo bisogno, prendevo anche giocattoli da regalare ai miei figli”. Una ricostruzione confermata anche dall’altro collaboratore di giustizia sentito, ovvero Luigi Celona. I due ex vertici mafiosi hanno deposto davanti al collegio penale presieduto dal giudice Veronica Vaccaro, affiancata dalle colleghe Marica Marino e Silvia Passanisi. Nuovi testi verranno sentiti alla prossima udienza fissata per l’11 maggio.