Quotidiano di Gela

Unità d'Italia con la ricchezza del Sud e il debito della moneta piemontese

Gela. Ci pregiamo di ospitare nella nostra piccola rubrica questi approfondimenti sulla questione meridionale, preparati dallo scrittore siciliano Aurelio Vento, nostro amico e collaboratore.Conosciam...

A cura di Luigi Maganuco
28 ottobre 2018 12:27
Unità d'Italia con la ricchezza del Sud e il debito della moneta piemontese - REGNO DI SICILIA 12 Tari Ferdinand de Bourbon 1796
REGNO DI SICILIA 12 Tari Ferdinand de Bourbon 1796
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Gela. Ci pregiamo di ospitare nella nostra piccola rubrica questi approfondimenti sulla questione meridionale, preparati dallo scrittore siciliano Aurelio Vento, nostro amico e collaboratore.

Conosciamo la serietà dell’autore, l’impegno e la passione che ha dedicato allo studio sulla questione meridionale, non tralasciando di mettere in evidenza le malefatte del popolo tosco padano nei confronti del popolo duo siciliano, con più di 155 anni di colonizzazione, aggravata dalla cancellazione storica della dignità, della storia e della tradizione del regno delle due Sicilie. Invitiamo i nostri lettori a prendere coscienza dei fatti per non confonderci con la massa di ipocriti e fenotipi che hanno avuto il coraggio di avere governato un popolo senza minimamente considerarne la storia e la dignità. Uomini che hanno solo pensato a riempirsi le tasche e a continuare a permettere ai bovari nordisti di asserire che siamo stati mantenuti da loro, mentre loro rubavano i nostri beni con una tecnica da ladri professionisti.
Come tutti i fatti di storia, per comprendere quelli attuali bisogna conoscere, sub specie veritatis, quelli antichi e generanti.
La decantazione delle passioni dovuta agli anni trascorsi e la freddezza delle documentazioni fanno emergere la storia e a smentire le inesattezze, spesso artefatte per esigenze politiche del momento. La “Questione Meridionale”, vissuta oggi dalle popolazioni del Sud come fatalistica sconfitta o come speranzosa opportunità, nasce dalla ricerca e dal raggiungimento di una Unità d’Italia che non rispondeva ad una effettiva esigenza popolare di unità di genti diversissime tra loro (Italia dai cento Castelli e dai cento Comuni). L’Unità d’ Italia e la conseguente “Questione Meridionale” viene generata da imponenti interessi economici e/o strategici sovranazionali che vedevano la penisola italiana come indispensabile nello scacchiere.
L’Unità d’Italia, ben altra cosa che campagna di liberazione di chi non si voleva essere liberato fu illegittima violenza, un misfatto, un pastrocchio fetido, premeditato e lungimirante.
Essa altro non fu che il risultato di una congiura sovranazionale, con finalità colonialistiche e imperialistiche, concepita e gestita, come vedremo meglio più oltre, da un consistente pezzo di Massoneria inglese che si servì di artefatti pubblici e strutturazioni sotterranee.
Fra queste artefatte inesattezze c’è quella relativa all’arretratezza del Regno Borbonico.
Si fanno risalire le colpe della “Questione meridionale” al precedente dominio borbonico, commettendo così un falso storico.
E, invece, il risultato di una comunicazione costruita ad arte, scientemente e proditoriamente mendace e dispregiativa, organizzata dalla Massoneria inglese e da interessati e furbi annessionisti, spesso meridionali e cinici rinnegati, quale fra i tanti, fu, ad esempio, Francesco Crispi.

DIETRO IL VELO dell’inganno
Cap 1
Sino alla imperialistica invasione sabauda, nel Regno delle Due Sicilie non si conosceva l’emigrazione, non mancava il lavoro, la scuola era gratuita e pubblica assieme a quella privata e a quella religiosa, esistevano ospizi pubblici e religiosi per i vecchi bisognosi di assistenza. La sanità, poi, che godeva della alta specificità grazie alla tradizione della antica e preclara Scuola Medica Salernitana, garantiva l’attività di circa 9000 medici sul territorio che facevano riferimento ad una fitta rete di presidi ospedalieri sparsi nella città capoluogo e all’ospedale Domenico Cotugno di Napoli. Fa pensare il fatto che questa rete, creata allora, rappresenta ancora oggi circa l’80% della rete assistenziale della odierna città di Napoli (con la differenza, però, che nel 1860 gli abitanti erano 484.000).
Questo era ciò che c’era, in quegli anni, nel Regno borbonico, contrariamente a quanto si sarebbe poi detto, che in esso ”…imperava arretratezza e feudalesimo…” Alla fame dei contadini piemontesi-savoiardi (per i quali la polenta stessa era cibo del benestante se non del ricco) si contrapponevano la strategica esistenza compensativa delle annate di scarso raccolto di numerosissimi “montes frumentarii” che garantivano dalla povertà e dalla fame i contadini delle Due Sicilie e la politica di “Demani”, primo esempio di decentramento amministrativo che sin da allora vigeva nel Regno delle Due Sicilie.
Va innanzi tutto affermato che il confronto dei sistemi economico-finanziari dei due Stati risolve ed azzera in modo incontrovertibile il mendacio storico allora perpetrato e per tanto tempo, sino ad oggi, mantenuto.
La prima ed importante considerazione è quella che lo Stato sabaudo dei Savoia emetteva banconote o carta moneta con un controvalore in oro che sarebbe dovuto essere presente nelle casse dello Stato per dargli valuta, e ciò non era!
La moneta piemontese, quindi, non godeva di buona “convertibilità” cioè era carta straccia.
Lo Stato borbonico, invece, coniava ed emetteva una moneta in oro e in argento che aveva il valore dell’oro e dell’argento in esse contenute, per cui il valore reale della moneta corrispondeva al valore nominale della stessa. Scrive lo studioso Nicola Zitara:
“… senza il saccheggio del risparmio storico dei Borboni, l’Italia sabauda non avrebbe avuto avvenire. Il denaro circolante al Sud ed era denaro vero, fornì cinquecento milioni di monete d’oro ed argento su cui la banca d’emissione sarda, che aveva metalli preziosi per soli cento milioni, potè stampare abbondantemente nuova carta moneta con valuta finalmente coperta dalle nuove riserve… ”.
A pastrocchio unitario avvenuto, il colpo di grazia all’economia del Sud fu dato dall’aver sommato il debito pubblico piemontese, enorme, nel 1859 con quello esiguo del regno borbonico e farne media; per conseguenza i meridionali dell’ex Regno Borbonico si trovarono ad affrontare una improvvisa e pesantissima pressione fiscale. Su questa si esercitò la raccolta del risparmio che venne trasferito in investimenti al Nord le cui aziende erano oramai al tracollo.
Ferdinando Ritter lascia scritto che il saccheggio della ricchezza borbonica contribuì alla formazione dell’erario del Nuovo Regno d’Italia per cui: su Seicentosessantotto milioni di Lire, in cui consisteva il totale erariale del nuovo Regno, l’ex Regno delle Due Sicilie concorse per ben Quattrocentoquarantatre milioni di lire in oro, mentre l’ex Regno sabaudo per soli Ventisette milioni, la Lombardia Otto milioni e cento, il Ducato di Modena quattrocentomila lire, la Romagna Marche ed Umbria cinquantacinquemila e trecento, la Toscana ottantaquattromila e duecento.
In effetti, prima dell’invasione garibaldina e dell’occupazione sabauda, che verrà definita dalla storia scritta dai vincitori Unità d’Italia, la ricchezza prodotta al Sud era tale che il Regno Borbonico era la terza potenza d’Europa per lo sviluppo industriale (Esposizione Internazionale di Parigi 1856) e il suo potenziale economico-finanziario era quotato alla borsa di Parigi.
La moneta borbonica o Ducato faceva aggio sulle monete europee e non era certo equivalente a quella piemontese che navigava con un debito pubblico mastodontico.

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