Undicesimo Capitolo – Attentato in Vaticano

 
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Le lunghe vacanze natalizie erano state per Fabrizio ed Olga la panacea da ogni stanchezza  e dallo stress.

La Sicilia era un’incantevole isola e il lavoro dei due innamorati era stato lasciato dietro le spalle, lontano di almeno cinquecento miglia dalla città eterna poggiata sui sette colli, arenato sulle rive del Tevere.

Fabrizio aveva portato l’effervescente ospite a visitare Siracusa, la mitica città del matematico Archimede e la roccaforte di Ortigia, circondata dalle acque dello Jonio, Cefalù ed Erice, antiche cittadine siciliane ricche di storie, di fascino e dagli incantevoli paesaggi, quando giunsero nella rinomata e desiderata Taormina, all’indomani del capodanno. 

Ogni due giorni si erano spostati nelle località turistiche isolane più famose, pranzando in ristoranti esclusivi e caratteristici; ora finalmente soggiornavano nella famosa città d’arte, dove rimasero cinque giorni nell’hotel più elegante della ridente e fine cittadella, con una vista affascinante ed un incantevole panorama sopra la baia di  Isola Bella.

Di giorno era difficile svegliarsi di buon mattino, e fare colazione in camera a mezzogiorno era diventata una piacevole abitudine.

Dalla suite degli ospiti la vista sul mare, dal fondo lavico che rendeva più azzurre le cristalline acque, offriva poi ineffabili sensazioni e la tranquillità assoluta, quasi di pace.

L’ultimo giorno di vacanza a Taormina, però, di mattina e prima di ripartire dall’aeroporto di Fontanarossa Catania per Roma, i due innamorati fecero shopping in corso Umberto, visitando i negozi d’arte e di antiquariato, acquistando numerosi pezzi di ceramica di Caltagirone, spediti a Roma con il corriere per arricchire l’arredo dell’attico di piazza di Spagna che era divenuto per la donna la sua nuova casa.

Fabrizio le comprò anche un braccialetto d’oro da Tiffany, la ricca gioielleria della località siciliana, intarsiato da pietre verdi, gialle e azzurre, di ottima fattura, lavorato dai maestri locali secondo le tecniche artigianali che nulla avevano da invidiare agli orafi di Faenza.

Il giovane spese un piccolo patrimonio, ma non gli importò molto, poiché l’ospite era una donna che affettuosamente lo ripagava di mille attenzioni e sembrava essergli un tutt’uno nei pensieri e nei sentimenti.

Nonostante fossero una coppia da poche settimane, i due si muovevano tra le viuzze e le scalinate dell’antica città della Magna Grecia  come due innamorati che dopo un’intensa love story vivono la propria luna di miele, fatte di coccole e di carezze, e ogni piccola cosa dell’uno era importante per il partner.

Olga oramai si sentiva del giovane legale, e le emozioni la inebriavano di sguardi sensuali e di abbracci, seguiti da frasi galanti e continui  “amor mio”.

Del passato, l’effervescente fanciulla oramai ebbe un ricordo stranissimo, come se non lo avesse vissuto di persona, circondato da un’atmosfera sinistra, triste, fatta da immagini da relegare in un archivio remoto.

E se Yuri fosse ricomparso nella sua vita?

Non volle pensare a una tale remota eventualità.

Aveva bisogno solo dell’amore e dell’affetto che il compagno siciliano le donava con estrema facilità, istintivamente e pieno di passione, lontana dall’uomo di ghiaccio e freddo di Mosca.

Tutte le sensazioni provate prima, di rabbia e di impotenza ad affrontare un uomo potente ed opprimente erano svanite come nebbia al sole, e la vita nella bellissima Taormina, insieme al suo ragazzo,  era l’unica realtà che le interessava.

Si sentiva sedotta, innamorata alla follia e un po’ imbarazzata anche per la dolce dipendenza che iniziò a sentire nei confronti del suo vulcanico e sempre irruente Fabrizio.

In paese erano alloggiati al  San Domenico Hotel Palace, nella suite situata in un’incantevole terrazza affacciata sul mare, che si abbracciava idealmente con il solo sguardo.

Avevano avuto anche la voglia di fare il bagno nel ridente mare azzurro, ma nonostante le piacevoli giornate, accarezzate dal sole invernale ma mite, desistettero da quell’avventura, che invece altri giovani turisti scandinavi, un po’ più pazzi, affrontarono con disinvoltura e senza correre grandi rischi.

In fondo, il clima era caldo e ad Olga ricordava l’inizio dell’estate sulle sponde del fiume Moscova che attraversava la sua città.

Era come se avessero scelto di abitare in un’isola che nulla aveva da invidiare a quelle paradisiache dei Caraibi o alle Seychelles; anzi, la località scelta permetteva la vita nelle sue stradine nell’assoluta pace e in sicurezza, dove gli uomini  ed i turisti erano solo degli esseri comuni e uguali, per nulla distinti dalle potenti autovetture e dai lussi sfrenati, considerato anche che la piccola cittadina era chiusa al traffico e offriva uno stile di vita moderno, sobrio, senza alcun eccesso, nella quiete tipica della costa mediterranea e siciliana. 

Durante la  vacanza in Sicilia, poi, Fabrizio non perse l’occasione di fare all’amore con l’intrigante compagna, come quel primo pomeriggio prima di ripartire per Roma.

“Perché mi seduci con continue e piacevoli avances?”  domandò lei ridendo distesa sulla sua sdraio, nella veranda della suite a prendere il sole, vestita solo della lingerie francese che a Natale Fabrizio le ebbe a regalare. 

“Perché non so starti lontano”, le rispose con il sorriso vero.

“Ah, allora questa è la tua scusa! 

Se per te non riuscire  a resistermi significa fare all’amore ad ogni ora…”.

Risero entrambi, complici della passione e del piacere che amabilmente li travolse, insaziabili di amplessi e baci.

Lei lo amava e lui l’adorava, desiderandola ad ogni suo respiro.

E quel desiderio a lei piaceva molto, come le piacque fare all’amore in veranda, accarezzati da una leggera brezza marina, e il sesso consumato non era effimero, mai finalizzato a se stesso.

Lui la faceva sentire importante, anzi la metteva al centro dei suoi interessi; per lei, quindi, al centro del mondo.

Arrivò il sette di gennaio e l’ora di ripartire per Roma.

Ai due innamorati costò molto lasciare la Sicilia e le sue splendide terre.

Fecero i bagagli, recandosi in taxi all’aeroporto di Catania, percorrendo la costa jonica per gustarsi il paesaggio, vedendo scorrere a destra il maestoso vulcano dell’Etna  e a sinistra il mare  ei faraglioni lavici, come a prolungare idealmente la vacanza, pronti però a imbarcarsi sul volo AZ 743 della compagnia di bandiera.

Dopo il check in, Fabrizio e Olga furono costretti per ben undici volte a passare sotto il metal detector dell’imbarco dello scalo siciliano di Fontanarossa, costringendo i due giovani e gli altri passeggeri a controlli di sicurezza massacranti, fino a levarsi le cinture dei pantaloni, le scarpe e gli oggetti personali che indicassero la presenza di un metallo.

Le notizie sui combattimenti che giungevano dall’Iraq e in Siria, le continue e quotidiane perdite di soldati americani, saltati sopra le mine o morti ammazzati con l’ennesimo kamikaze, rendevano l’atmosfera inquietante e piena di pericoli.

Il ricordo dell’attentato dell’11 Settembre alle torri gemelli di New York era un triste presagio per il mondo libero; non c’era un aeroporto nazionale o internazionale che, seppure a distanza di anni ed anni,  non adottasse i controlli di massima sicurezza contro gli eventuali dirottamenti e gli attacchi suicidi, dei quali gli esperti di politica internazionale dicevano che gli stati occidentali avrebbero dovuto convivere per alcuni decenni, considerate le tensioni geopolitiche del mondo arabo e la subcultura di ritorno vissuta dai popoli musulmani, precipitati dal ventunesimo secolo in un  nuovo e più insidioso oscurantismo medioevale dovuto alle scellerate politiche yankee e all’incapacità di quei popoli ad autodeterminarsi, a riscattarsi dal fanatismo dei fondamentalisti islamici, nemici degli uomini, di ogni donna e di Dio.

Nell’ultima settimana poi erano giunte notizie angoscianti circa le manovre militari delle portaerei e della flotta americana nel golfo Persico, a sole cinquanta miglia marine dalle coste dell’Iran, e le continue violazioni sui controlli della proliferazione delle armi nucleari erano denunciate anche contro la Corea del Nord.

L’ennesima guerra in Iraq , a più di quattro anni dal suo inizio, rischiava di diventare planetaria contro le forze del Male, coinvolgendo anche gli Stati canaglia della Siria e dell’Iran, così come erano definiti quei governi dai media americani, che apertamente appoggiavano la politica degli attacchi preventivi dell’amministrazione governativa capeggiata dalla destra conservatrice, appoggiata sapientemente dalle industrie belliche e del petrolio statunitensi, nonché dalle cosmopolite e ricche lobby ebraiche.

I soldati degli alleati morti in Iraq superavano oramai le tredicimila unità e le reiterate e anticipate libere elezioni democratiche sul suolo dell’antica Persia  si erano rivelate un incredibile flop per i militari a stelle e strisce, impantanati nel nuovo Vietnam, vittime di continui attentati dei terroristi arabi e islamici sempre più organizzati.

La guerriglia nel triangolo sunnita attorno a Bagdad s’era trasformata anche in una vera e propria guerra campale, combattuta con ogni mezzo e con l’uso delle armi chimiche per lo sterminio dei ribelli, dei terroristi islamici e delle popolazioni locali insorte contro le forze d’occupazione anglo americane.

Il pericolo di stragi nelle città occidentali dunque s’era fatto più imminente e reale;   le intelligence di mezzo pianeta mettevano le istituzioni internazionali in guardia dagli attacchi dei terroristi islamici contro  gli obiettivi americani e dei loro alleati, e negli aeroporti di tutto il mondo la tensione era sempre al massimo, poiché si temevano nuovi dirottamenti e attentati ai simboli del potere politico, economico e militare della civiltà occidentale e, perché no, alle istituzioni religiose maggiormente più rappresentative del mondo cattolico e protestante dell’Europa unita.

Anche l’aeroporto di Catania non si sottraeva ai controlli rigidi disposti dalle autorità nazionali del trasporto e dell’interno; le sue misure di prevenzione erano state raddoppiate, e i servizi di sicurezza e le intelligence italiani erano sempre in allerta.

I passeggeri, prima del ceck-in, esibirono il biglietto d’aereo ed un valido documento di riconoscimento, sottoponendosi ai controlli personali estenuanti e rigorosi, con le inevitabili,  interminabili file, mentre le forze di sicurezza e di polizia presidiavano i rigidi controlli con gli strumenti invasivi.  

La giornata era stata calda, in un inverno tiepido ed il tardo pomeriggio passò in aeroporto anonimo e stancante.

Finalmente, alle venti zero cinque, l’aereo sul quale s’imbarcarono il giovane legale e la splendida diplomatica straniera decollò con un’ora e quaranta di ritardo.

Dopo la piacevole traversata di un’ora e venti  minuti, trascorsa dai passeggeri del volo AZ 743 a chiacchierare ed a dialogare amabilmente, il vettore aereo giunse sull’aeroporto romano di Fiumicino, atterrando sulla pista dei voli interni.

Non passarono due ore dall’arrivo allo scalo capitolino principale che i novelli innamorati raggiunsero il centro di Roma e l’attico di piazza di Spagna, dove fecero insieme una doccia calda, prendendosi entrambi a sfottò, giocherellando e trascorrendo da pantofolai l’intera notte a casa, aspirando di ritemprarsi e riposarsi tra le mura domestiche, organizzandosi ciascuno la ripresa della propria attività professionale e politica che iniziava il giorno dopo.

Erano felici e spensierati di ritrovarsi nella loro accogliente dimora.

L’ozio del giovane italiano aveva contagiato l’affascinante compagna, e le ore anche quella notte passarono lentamente, inesorabilmente, quando finalmente la stanchezza ebbe sui due amanti il sopravvento; e scese la notte fonda.

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