Gela. Sia in primo che in secondo grado, vennero condannati per calunnia.
Attraverso un video palesemente modificato, avrebbero tentato di accusare quattro carabinieri dell’incendio di una Mercedes tra le strade del quartiere Sant’Ippolito.
Le immagini modificate. Il boss Peppe Alferi, attualmente detenuto sotto regime di 41 bis, e Francesco Giovane, condannati a quattro anni di reclusione ciascuno, a settembre chiederanno l’annullamento dei verdetti in Cassazione. I giudici romani, dopo la presentazione dei ricorsi da parte dei difensori di fiducia, gli avvocati Giacomo Ventura e Maurizio Scicolone, hanno fissato l’udienza. In realtà, i quattro militari, all’epoca dei fatti tutti in servizio al nucleo operativo del reparto territoriale di via Venezia, si trovavano in quella zona per attività d’indagine, avviate nei confronti del proprietario della vettura, poi distrutta dalle fiamme. Il video, palesemente artefatto, riproduceva immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza installati all’esterno dell’abitazione di Francesco Giovane. Quelle immagini finirono nella disponibilità di altri carabinieri del nucleo operativo. I due imputati non hanno mai voluto rilasciare dichiarazioni. I militari finiti al centro della vicenda, Vincenzo Giuca, Stefano Di Simone, Giovanni Rizzo e Francesco Mangialardo, si sono sempre costituiti parte civile con l’avvocato Gabriele Cantaro, ottenendo il diritto al risarcimento dei danni subiti. “Consapevoli collaboratori” di una “complessa macchinazione” che avrebbe mirato ad addossare, sui quattro carabinieri, la responsabilità del rogo della vettura. Così, i giudici della Corte d’appello di Caltanissetta, nelle motivazioni della sentenza di condanna, hanno definito i due imputati.