Gela. Emanuele Cascino, ex fedelissimo del presunto boss Giuseppe Alfieri, continua a parlare con i magistrati e, adesso, sarebbero proprio le sue dichiarazioni a far emergere uno spaccato di complicità tra alcuni carabinieri
già in servizio nella caserma di via Venezia e il gruppo capeggiato da quello che tutti conoscono come ‘u Ierru.
L’attenzione dei magistrati, così, si è incentrata sulle mosse del maresciallo Giovanni Primo, per diversi anni comandante del reparto radiomobile e adesso in carcere. Proprio il militare avrebbe intrattenuto uno strettissimo rapporto sia con Giuseppe Alfieri sia con alcuni esponenti del suo gruppo.
Per queste ragioni, vengono contestate pesanti accuse come quella di concorso esterno in associazione mafiosa. Il maresciallo sarebbe riuscito a muoversi su più fronti, sfruttando la possibilità di accedere a dati riservati. Sarebbe stato proprio il graduato ad intercedere, per conto di Alfieri, con i titolari di un’azienda locale di carburanti. Gli imprenditori pagavano, assicurando anche rifornimenti gratuiti, in cambio di veri e propri servizi di sorveglianza.
Non solo, Primo avrebbe ricevuto regalie e telefoni cellulari di notevole valore economico. Allo stesso tempo, avrebbe assicurato l’accesso a dati riservati. Una strategia simile a quella messa in atto con i proprietari di un supermercato di via Butera.
Richieste di assunzioni e acquisti a basso costo in cambio dell’individuazione di due testimoni di comodo, chiamati a presentarsi davanti al giudice in un procedimento avviato dopo un grave incidente stradale che coinvolse uno degli imprenditori vicino al maresciallo. Nonostante l’originaria dinamica dello schianto lo vedesse responsabile del sinistro, l’obiettivo dell’imprenditore, tramite le false dichiarazioni, era quello di incassare ugualmente il premio assicurativo.
False dichiarazioni in giudizio sarebbero state rese anche durante il procedimento civile che coinvolse il titolare di una pasticceria locale. Una sua ex dipendente, infatti, reclamava retribuzioni mai ricevute per un rapporto di lavoro a tempo pieno e non, invece, solo part-time. In quell’occasione, proprio il maresciallo arrestato avrebbe assicurato una sua testimonianza di comodo. I magistrati, nel corso dell’indagine, hanno fatto cadere la loro attenzione anche su tre colleghi del militare, Ernesto Licata D’Andrea, Marco Sassone e Salvatore Gurrieri, finiti nel registro degli indagati.
Avrebbero ricevuto regalie e favori facendo pesare il loro ruolo. Tra i quindici indagati, inoltre, non mancano “utenti” interessati ad accedere a dati sensibili dei server gestiti dalle forze dell’ordine per il tramite, ritengono gli investigatori, dello stesso maresciallo finito in manette. Nei prossimi giorni, si capirà meglio se l’impianto accusatorio alla base dell’inchiesta riuscirà a superare il vaglio dei primi interrogatori.