Gela. Non sono bastati dieci anni, quelli trascorsi dall’ultima plateale protesta. Per l’imprenditore Emilio Missuto e per i familiari che hanno sempre lavorato insieme a lui, il conto rimane aperto. Questa mattina, ha iniziato lo sciopero della fame. È arrivato nel piazzale a ridosso del tribunale a bordo di un camper e da lì non si muoverà. Con lui, i familiari che ci sono sempre stati anche nel corso delle proteste del passato. Quello di Missuto è stato un gruppo imprenditoriale con investimenti in varie zone d’Italia e soprattutto nel territorio locale. Si dice ormai da anni “vittima dello Stato”. Da quasi venti anni attende che un procedimento si chiuda in Sardegna, dove fu avviata un’azione per recuperare crediti da un ente comunale isolano per conto del quale la sua azienda operò in appalto. Soldi dei lavori, di fatto, non ne ha mai visti. Gli impianti avviati in contrada Sabuci, invece, da tempo sono oggetto di danneggiamenti ingenti. “Ho presentato non meno di centocinqua denunce ma invano – spiega Missuto – purtroppo, non posso che ritenermi vittima della mafia che non ha mai voluto che il nostro investimento andasse avanti ma anche dai poteri forti. I beni di contrada Sabuci, con un investimento di non meno di nove milioni di euro, sono stati venduti per circa centocinquantamila euro. Le banche non ci hanno mai dato la possibilità di rientrare e in questi anni abbiamo lavorato solo per mettere da parte ciò che ci avrebbe permesso di chiudere la partita con gli istituti di credito. Così, però, non è stato. Abbiamo il timore, inoltre, anche se dovranno essere le autorità a confermarlo, che alcuni nostri beni produttivi siano stati venduti a soggetti vicini alla criminalità. Sarebbe ancora più grave. Altri sono andati in un Comune dal quale attendiamo pagamenti. C’è poi tutta la vicenda paradossale di un fallimento ancora aperto”. Con lo sciopero della fame Missuto punta soprattutto ad un riscontro dalle autorità locali e tenterà di fare arrivare la sua voce al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. “Da massima istituzione della nazione e da siciliano può comprendere quello che stiamo passando per colpa dello Stato”, aggiunge.
Le procedure giudiziarie in atto ora mettono a serio rischio anche le proprietà personali, comprese le abitazioni dell’imprenditore e dei familiari. Non ce la fanno più e non intendono fermarsi fino a quando non si farà finalmente chiarezza sul destino di un’avventura imprenditoriale trasformatasi in un incubo burocratico e giudiziario.