Gela. Per ottenere il rinnovo del porto d’armi, destinato alla caccia, avrebbe fatto attestare una condizione diversa da quella effettiva. Per i magistrati della procura, il certificato medico sarebbe stato rilasciato, riportando conclusioni false. Le accuse vengono mosse al titolare del porto d’armi e al medico che rilasciò la certificazione. Questa mattina, nel dibattimento aperto nei confronti del medico Emanuele Salafia (difeso dall’avvocato Antonio Gagliano) e di Sebastiano Perna (rappresentato dai legali Samantha Rinaldo e Francesco Castellana), Asp ha avanzato la richiesta di costituzione di parte civile, con il legale Laura Caci. Davanti al giudice Antonio Fiorenza, è stato chiamato a testimoniare uno dei medici dell’ufficio sanitario provinciale, che effettuò delle verifiche cliniche su Perna, su indicazione del commissariato di polizia. L’imputato, che chiedeva il rinnovo del porto d’armi, “ormai dagli anni ‘60”, così è stato riferito, aveva perso quasi del tutto la vista da uno degli occhi. “In ogni caso, con almeno otto decimi dall’altro – ha spiegato il medico sentito in aula – il porto d’armi può essere rilasciato. In quella fase, però, accertai che le condizioni non c’erano per il rinnovo”. Secondo la procura, Salafia avrebbe riportato delle conclusioni non veritiere, per garantire il rinnovo del porto d’armi all’altro imputato. Le difese escludono che ci siano state violazioni.
Il testimone, rispondendo alle domande delle difese, non ha escluso che le condizioni dell’altro occhio, “con segni di cataratta”, potessero aver subito un peggioramento dopo il rilascio del certificato. Lo specialista dell’ufficio provinciale sanitario ha risposto anche alle domande poste dal pm Pamela Cellura. Il medico imputato risponde di falsità ideologica, mentre il titolare del porto d’armi è accusato di uso di atto falso. In aula, si tornerà il prossimo ottobre, anche per l’esame degli imputati.