Un capitolo oscuro della storia nissena: la Solfara Giona e il disastro incredibile del 1900
Solfara Giona a Caltanissetta: labirinto di zolfo, melanoflogite unica al mondo e la nube tossica che nel 1900 sconvolse la miniera.
All’ombra delle colline gessose di Sutera e Milena, nel cuore della provincia di Caltanissetta, giace la Solfara Giona: un reticolo di gallerie sotterranee che, per quasi un secolo, estrasse lo “oro giallo” di Sicilia. Oggi le bocche dei pozzi sono murate e un silenzio irreale sostituisce il clangore dei carusi; ma la miniera continua a lanciare due richiami irresistibili: il mistero di un minerale “alieno” unico al mondo e l’eco di una tragedia tossica avvolta dall’oblio.
Un labirinto di zolfo, speranze e dolore
Fin dalla metà dell’Ottocento la Giona fu considerata una delle punte di diamante del distretto solfifero nisseno: i Montagna la presero in gabella nel 1895, ampliando pozzi e gallerie fino a 120 m di profondità. Qui arrivavano intere famiglie, attirate dalla promessa di un salario e schiacciate dall’incubo dell’“affrancazione”: ragazzini di appena otto anni costretti a trascinare sacchi di minerale fuso sulle spalle lungo cunicoli soffocanti.
Il 14 maggio 1900 un’improvvisa emissione di anidride solforosa avvelenò l’aria; le cronache del Corpo Reale delle Miniere parlano di “numerosi intossicati”, ma il bilancio reale rimase sepolto insieme al minerale. L’incidente segnò l’inizio del declino: concorrenza americana, costi crescenti, la crisi degli anni ’30 e, infine, la chiusura definitiva nel dopoguerra.
Cristalli extraterrestri e l’eredità scientifica
Se la sofferenza umana ha un volto sotterrato nella polvere di zolfo, la scienza deve alla Solfara Giona un tesoro inestimabile: è tipo-località della melanoflogite, rara forma di silice cubica descritta nel 1876 da A. von Lasaulx. I geologi la chiamano “quarzo spugnoso”, un reticolo cristallino che intrappola gas nobili e che s’incendia di sfumature metalliche sotto il microscopio.
Accanto a essa affioravano zolfo nativo, calcite e celestina, rendendo l’antico fief di Cimicia un paradiso per mineralogisti di mezzo mondo: dalle teche del Natural History Museum di Londra ai laboratori dell’MIT. Oggi, pur abbandonata, la Giona resta un santuario minerario a cielo aperto: i fronti di scavo sopravvivono tra ginestre e pietrisco, le travi di sostegno marciscono lentamente e le acque cariche di sali creano concrezioni surreali; un paesaggio lunare dove passato industriale e biodiversità mediterranea convivono in silenziosa simbiosi.
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