Gela. Leggere sul sito WWW.regnodelleduesicilie.eu. che tratta la questione meridionale, una critica a chi ha proposto di ripristinare il progetto di costruzione del ponte sullo stretto di Messina in termini critici e strumentali,mi ha fatto riflettere moltissimo. Ormai saturi dei quasi 160 anni di storia che ci vengono propinati dai nostri colonizzatori,sono sufficienti per evitare che venga sovvertito il principio che tutto quello che è necessario al nord è superfluo al sud. Lì costruiamo la TAV, le autostrade, le eccellenze e nuove linee elettrificate delle ferrovie senza scandalizzare nessuno di noi meridionali. Anzi, plaudiamo per il bene del Paese, visto che per Paese unificato riusciamo ad identificare tutta quella zona che va al nord della Campania e del Lazio. Se qualcuno si accingesse a parlare di costruire qualcosa nel meridione e, in particolare, in Sicilia, allora iniziano le critiche o diventiamo creduloni o impegnati politicamente, quindi non attendibili.
Questa aberrante teoria fu applicata dal nostro grande concittadino Salvatore Aldisio, allora Ministro tra l’altro dei lavori Pubblici del Regno d’Italia, che iniziò una politica dei lavori pubblici in Italia grandiosa, mentre a Gela fece costruire la variante di via Venezia con lo spostamento della stazione ferroviaria e la nuova rete ferroviaria Gela- Catania, oggi chiusa dai suoi successori per mancanza di treni e di ponti pericolanti.
I nostri Soloni gridano allo scandalo quando qualcuno accenna a costruire il ponte sullo stretto, perché abbiamo bisogno di infrastrutture meno importanti oggi mancanti. Mi chiedo, il ponte non è una infrastruttura?
Dobbiamo continuare ad essere isola senza nessun collegamento stabile con l’Italia dei colonizzatori? Pensate ad un nord all’avanguardia senza le importanti infrastrutture realizzate e in itinere.
Così i grandi storici prezzolati che coltiva l’Italia dei vincitori potranno scrivere nei libri utilizzati nelle scuole dell’obbligo e superiori che le regioni del sud sono povere e non hanno possibilità di progredire, perché mancano le infrastrutture.
Così i nostri insegnanti, ipocritamente, potranno continuare a inculcare agli alunni meridionali e non la lezione imposta dai nordisti senza nessun commento. Questi,infatti, continuano a propinare nozioni errate ai nostri giovani, disconoscendo completamente che noi siamo stati la Magna Grecia e che fino al 1860 eravamo lo stato più progredito dell’Europa e all’avanguardia in tutti i campi.
Siamo una nazione che ha rinnegato il suo ieri, perciò non può avere un suo domani, così si esprimeva Indro Montanelli.
Oggi la nostra economia è ai margini del sistema economico nazionale, perché i nostri “padroni” hanno fatto bene a trasferire le banche al settentrione così da bloccare sul nascere qualunque processo di crescita. Gli economisti parlano del moltiplicatore economico per fare crescere l’economia di una ragione, ma noi intelligentemente abbiamo fatto in modo che le nostre strutture bancarie venissero trasferite senza colpo ferire nelle regioni del nord, così tutti i nostri risparmi bancari e i vari premi assicurativi possono essere spesi in quelle regioni e il processo del moltiplicatore può funzionare tranquillamente e il buio in fondo al tunnel può trasformarsi in una luce quasi brillante.
Noi meridionali per il progresso economico dobbiamo attendere il funzionamento del job-acts e il ripristino dell’art. 18, tutte disposizioni da sperimentare,così lo spiraglio di luce in fondo al tunnel diviene un sogno onirico e la disoccupazione, a livelli allarmanti, non può che aumentare. Se diminuisce è solo grazie ai tanti che con in mano una valigia di cartone partono in cerca di nuovi sbocchi verso l’Italia del nord o nei paesi Europei o nelle Americhe, secondo dove vivono i nostri antenati che ci hanno preceduti.
Questo di tanta speme oggi mi resta!
Straniere genti, l’ossa mie rendete
Allora al petto della madre mesta.
Oppure sempre di Foscoliana memoria A Zacinto:
Tu non altro che il canto avrai del figlio.
O materna mia terra, a noi prescrisse
Il fato illacrimata sepoltura.
Le affermazioni dei poeti antirisorgimentali dell’Italia continuano ad avere valore storico, particolarmente nel mezzogiorno, perché ipocritamente non abbiamo nessuna voglia di prendere coscienza della realtà storica cancellata dai tosco-padani. Certo, se un popolo cancella volutamente la propria storia non è degno di chiamarsi Stato e può continuare a vivere nella miseria più assoluta, anzi, giustificata dai nostri storici con la scusa della mafia che assilla il nostro territorio e che la televisione di Stato, pedissequamente ci propina film di mafia e ogni occasione è buona per ricordare, non per dimenticare, che nel mezzogiorno esistono gli uomini della malavita organizzata.
Il filone del commissario Montalbano del nostro corregionale Camilleri è un esempio di coraggio morale per la nostra cultura prezzolata che ne elogia la trasmissione, anzi proprio a Gela dobbiamo dedicare una via al grande poeta Camilleri che si è arricchito sfruttando questo filone.
Nessuna speranza di progresso per questo territorio governato dalla mafia al servizio dello stato nazionale che alimenta con opere pubbliche inutili e mai utilizzati. Ancora oggi assistiamo al completamento dei processi per la morte di Falcone e Borsellino, senza riuscire a trovare collegamenti della mafia con lo Stato che ci governa, quando questa malavita fu introdotta dalla Stato centrale nel 1860 e rafforzata subito dopo la seconda guerra mondiale nel 1946,sempre dallo Stato centrale.
Noi per queste affermazioni traiamo spunto dai discorsi di giornalisti meridionali,uno fra tutti Franco di Mare del tg1, che ogni sui problemi del meridione conclude con la giustificazione del territorio dominato dalla malavita organizzata nell’ex regno delle due Sicilie. Così il mezzogiorno può continuare ad essere il serbatoio di manodopera delle imprese pulite del nord, mentre la nostra terra può continuare a vivere nella miseria assoluta senza nessuna possibilità di ripresa economica.
Dunque, nella primavera del 1860 in Sicilia non c’era un metro di ferrovie, un terzo dei comuni era privo di strade carrozzabili e in inverno la rete stradale diventava in buona misura impraticabile, la meccanizzazione dell’agricoltura era inesistente, per “opere pubbliche, istruzione e beneficenza” nel bilancio 1858 si stanziavano 19.223 onze (di cui 858 per l’istruzione!) su un bilancio complessivo di onze 1.958.161 ma, garantisce Maganuco, “fino al 1860 eravamo lo stato più progredito dell’Europa e all’avanguardia in tutti i campi”. Maganuco sarà così cortese, prima o poi, da dirci da quali fonti attinge simili stupefacenti informazioni?