Gela. Secondo le difese, mancano i presupposti per giustificare le misure restrittive imposte a padre e figlio, Orazio Pisano e Giuseppe Pisano, accusati del tentato omicidio di Carmelo Palmieri, raggiunto da colpi di arma da fuoco, due anni fa, nei pressi di Borgo Manfria. Per gli inquirenti, i Pisano avrebbero avuto mire di controllo sull’intera zona. Questa mattina, i difensori, gli avvocati Giacomo Ventura e Tommaso Vespo, hanno esposto il contenuto dei loro ricorsi, presentati al tribunale del riesame di Caltanissetta. Hanno chiesto di rivedere le misure e i provvedimenti restrittivi. Padre e figlio sono detenuti, con l’accusa di tentato omicidio. I carabinieri e i pm della procura ritengono che l’ordine sia partito dal padre ed eseguito dal figlio, arrivato in zona a bordo di un’auto pare guidata da un altro indagato a piede libero, Giuseppe Vaccaro. I legali hanno spiegato che le misure sono scattate a due anni di distanza dai fatti e mancherebbe il presupposto dell’eventuale rischio di reiterazione del reato. “Se non l’hanno fatto in questo lasso di tempo, perché l’avrebbero dovuto fare adesso?”, è stato riferito dalla difesa. Ai domiciliari si trova invece Gerlando Salamone (difeso dal legale Giacomo Ventura), accusato del possesso di armi e munizioni. Anche per la sua posizione è stato discusso il riesame. Ricorsi sono stati presentati dalla difesa di Fabio Russello e Vincenzo Alberto Alabiso, rappresentati dall’avvocato Nicoletta Cauchi. A loro vengono contestati reati diversi dal tentato omicidio, soprattutto furti come quello dell’auto che per gli investigatori venne usata per l’agguato a Palmieri. Riportò ferite me non fu in pericolo di vita. Sono destinatari dell’obbligo di dimora e di presentazione. Gli investigatori sono certi che i Pisano imponessero pagamenti a chi voleva operare nella zona tra Borgo Manfria e contrada Mangiova, aree rurali che pare intendessero controllare usando intimidazioni e violenza. I difensori escludono che quanto ricostruito dai pm e dai carabinieri possa essere riferito agli indagati.
Nel corso delle attività investigative, gli inquirenti sono risaliti alle cause del rogo dell’attività commerciale di Emanuele Pisano (avvenuto l’anno successivo agli spari), fratello di Orazio Pisano e a sua volta indagato ma senza la sottoposizione a misure. Le fiamme danneggiarono un punto vendita di prodotti caseari. L’incendio sarebbe stato appiccato da un minore con l’intervento proprio di Orazio Pisano: in questo modo avrebbe voluto lanciare un messaggio eloquente al fratello Emanuele, con il quale c’erano state divergenze per il controllo delle attività nella zona di Borgo Manfria e non solo. I giudici nisseni, per tutti i ricorsi, si sono riservati di decidere.