Gela. Nove condanne e due assoluzioni. La decisione del collegio penale del tribunale risale allo scorso novembre e ha chiuso il procedimento di primo grado scaturito dall’indagine antimafia “Stella cadente”. I giudici hanno depositato le motivazioni. Le difese degli imputati condannati avanzeranno i rispettivi ricorsi in appello. L’inchiesta si concentrò sulla riorganizzazione del gruppo stiddaro, per gli inquirenti controllato dal boss Bruno Di Giacomo, condannato in primo e secondo grado (in attesa del procedimento in Cassazione). Nel filone processuale chiusosi a novembre, dopo una lunga fase istruttoria, la pena più consistente, a sedici anni e quattro mesi di reclusione, è stata imposta a Vincenzo Di Giacomo, in continuazione con una pronuncia del 2006. Quindici anni sono stati decisi per Giuseppe Nastasi, con il riconoscimento delle attenuanti e della continuazione. Quattordici anni e sei mesi a Vincenzo Di Maggio (sempre con il riconoscimento della continuazione interna). Quattordici anni, invece, per Salvatore Antonuccio (con la continuazione). Nove anni ad Alessandro Pennata (con il riconoscimento delle attenuanti), sette anni e sette mesi a Giuseppe Truculento e sette anni e quattro mesi a Giuseppe Vella. Un aumento di pena di quattro anni è stato disposto per Giovanni Di Giacomo, rispetto a quanto deciso con un’ordinanza del 2018. Infine, tre anni e sei mesi a Benito Peritore. Le assoluzioni sono state pronunciate nei confronti di Rocco Di Giacomo (difeso dai legali Antonio Gagliano e Tommaso Vespo) e Samuele Cammalleri (rappresentato dai legali Carmelo Tuccio e Flavio Sinatra). Nei loro confronti erano state richieste pene a sedici anni e otto mesi per Di Giacomo e a sette anni per Cammalleri. Il collegio, per le loro posizioni, ha ordinato la revoca immediata delle misure restrittive. I pm della Dda di Caltanissetta Claudia Pasciuti e Davide Spina, durante la loro requisitoria, hanno confermato il quadro accusatorio, ribadendo la pericolosità del gruppo stiddaro: puntava ad attività economiche, mantenendo la gestione dello spaccio di droga. Le indagini vennero sviluppate sulla base di alcune denunce avanzate da esercenti, come i titolari del bar Milano di via Romagnoli, la cui versione è stata più volte messa in discussione dalle difese. Gli investigatori non hanno mai escluso che gli stiddari fossero pronti ad un’eventuale nuova guerra di mafia, nel caso di contrasti con le famiglie di Cosa nostra. E’ stata ribadita la disponibilità di armi.
Nel dispositivo, i giudici hanno indicato che i nove condannati dovranno risarcire i danni agli esercenti sottoposti a pressioni e alle associazioni antiracket Fai e “Gaetano Giordano” (le parti civili sono assistiti dagli avvocati Valentina Lo Porto, Federica Maganuco e Alessandra Campailla). Il collegio ha posto, tra le altre misure, la confisca della società “Malibù indoor srl” e quella di somme di denaro riferibili a Di Maggio. Tutti gli imputati hanno sempre respinto gli addebiti. Le difese chiederanno ai giudici di appello di rivedere i verdetti. Tra i legali dei coinvolti ci sono inoltre gli avvocati Giovanna Zappulla, Cristina Alfieri, Enrico Aliotta e Antonio Impellizzeri.