Gela. Due anni e due mesi ciascuno di reclusione. E’ questo il verdetto pronunciato dal giudice dell’udienza preliminare Paolo Fiore nei confronti di Rocco Cinardi, Francesco Carfì, Massimiliano e Stefano Trubia.
Gli spari a Settefarine. Erano tutti accusati di tentato omicidio e del possesso di armi. I quattro finirono al centro di un’indagine avviata dai poliziotti del commissariato dopo un vero e proprio scontro a fuoco, scoppiato tra le strade di Settefarine. Due nuclei familiari si sarebbero affrontanti sia nei pressi del parco della legalità sia tra le vie del quartiere. Il gup, alla fine, ha escluso l’ipotesi accusatoria del tentato omicidio, emettendo condanne solo rispetto al possesso di armi. Tutti gli imputati hanno optato per il rito abbreviato. In base a quanto ricostruito, i quattro si sarebbero affrontanti impugnando pistole e fucili. I difensori, gli avvocati Francesco Enia e Nicoletta Cauchi, nel corso delle loro discussioni, hanno però sottolineato l’assenza di elementi necessari a provare il tentativo di omicidio. I colpi sarebbero stati esplosi solo per intimidire i rivali. Una linea sostenuta, nell’interesse di Cinardi e Carfì, proprio dall’avvocato Enia che ha ricostruito la vicenda, utilizzando una serie di dati, legati soprattutto al tipo di armi utilizzate dai suoi assistiti. Se avessero fatto fuoco ad altezza d’uomo, stando al legale, i rivali sarebbero stati comunque raggiunti dai colpi. Anche il difensore di fiducia di Massimiliano e Stefano Trubia, l’avvocato Nicoletta Cauchi, ha escluso che i due avessero intenzione di uccidere. I pm della procura, invece, avevano già chiesto condanne più pesanti, quattro anni di reclusione per i due Trubia e cinque anni e quattro mesi nei confronti di Francesco Carfì e Rocco Cinardi. Per gli stessi fatti, a giudizio è finito Gaetano Brosco.