Spari a Mignechi, cade accusa di tentato omicidio: due anni e otto mesi a Caiola
L'imputato ha sempre negato che sull'auto ci fossero i suoi rivali. Il collegio ha deciso la trasmissione degli atti alla procura a carico dei tre

Gela.Sparò ma non per uccidere. Al termine dell'istruttoria dibattimentale, il collegio penale del tribunale, presieduto dal giudice Miriam D'Amore, ha disposto la condanna a due anni e otto mesi per il quarantenne Valerio Caiola. L'accusa principale, di tentato omicidio, è stata derubricata in quella meno grave di minaccia. I fatti si verificarono in una zona rurale, nei pressi di contrada Mignechi. Secondo la procura e la polizia che condussero l'attività investigativa, l'imputato avrebbe fatto fuoco contro l'auto a bordo della quale c'erano tre persone, padre e due figli, spesso in contrasto con il quarantenne per ragioni di confini dei loro terreni. Il collegio, nel dispositivo, ha escluso la premeditazione e riconosciuto le attenuanti generiche e la continuazione. L'imputato ha sempre negato che sull'auto ci fossero i suoi rivali. Nel corso del giudizio, ha ribadito che sparò contro la vettura mentre i tre, suoi parenti, erano lontani. Lo avrebbe fatto perché stanco di subire vessazioni, che denunciò. Una versione alla quale la procura non ha dato credito. Il pm Luigi Lo Valvo, nelle conclusioni, ha invece parlato della volontà di uccidere manifestata da Caiola, chiedendo la condanna a tredici anni di detenzione. Una conclusione supportata dal legale di parte civile, l'avvocato Giuseppe Fiorenza, in rappresentanza dei parenti dell'imputato. Per le difese, sostenute dagli avvocati Filippo Spina e Marco Granvillano, mancano del tutto i riscontri utili a ritenere che i tre fossero nella vettura al momento dell'azione del quarantenne, che successivamente fece ritrovare l'arma usata. Hanno messo in dubbio la versione resa dai tre, facendo richiamo pure al contenuto di alcune intercettazioni, che inizialmente gli inquirenti non avrebbero preso in considerazione. Alle parti civili è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni, solo per l'ipotesi di minaccia. Gli atti, a loro carico, sono stati però trasmessi alla procura. Il collegio ipotizza la calunnia e la falsa testimonianza. Non avrebbero riferito una versione attendibile, rispetto a quanto emerso durante il dibattimento. Per Caiola è stata decisa la sottoposizione agli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico. Lascia il carcere, dove era ristretto per questi fatti.