Gela. Dopo quanto esposto nel corso dell’udienza di fine novembre, Cataldo Terminio, in primo grado condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Failla, ha continuato anche in settimana. Attraverso dichiarazioni spontanee, davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, ha ribadito di non aver mai ordinato l’omicidio né di aver avuto ragioni di astio verso Failla, ucciso trentacinque anni fa all’interno del suo bar, in centro storico. L’imputato ha confermato che il suo coinvolgimento sarebbe dovuto solo alle indicazioni fornite da collaboratori di giustizia come Ciro Vara e Leonardo Messina, che lo avrebbero tirato in ballo per ragioni personali. In primo grado, l’ergastolo è stato deciso dalla Corte d’assise anche per le posizioni del boss Giuseppe Madonia e di Angelo Palermo. Trent’anni di detenzione, infine, per Angelo Bruno Greco.
Secondo l’antimafia nissena, sarebbe stato Terminio a chiedere il benestare agli allora vertici di Cosa nostra provinciale. Per gli inquirenti, voleva vendicare la morte del padre, ucciso in un agguato nell’ambito della faida con i Cerruto. Failla era considerato un amico dei Cerruto e così il commando entrò in azione in città. I collaboratori di giustizia, che fornirono elementi agli inquirenti per ricostruire il delitto, non hanno collocato il titolare del bar in un contesto di mafia. I familiari sono parti civili, assistiti dal legale Giovanni Bruscia. A gennaio, sono previste le conclusioni della procura generale e della parte civile. Nelle udienze successive, toccherà alle difese che hanno avanzato i ricorsi. Gli imputati sono rappresentati dagli avvocati Flavio Sinatra, Sergio Iacona, Cristina Alfieri, Eliana Zecca e Paolo Piazza.