Gela. E’ stata fissata per aprile la trattazione del ricorso presentato, in Corte di Cassazione, dalla difesa del quarantasettenne Roberto Di Mattia. Le minacce e l’aggressione. Sia in primo che in secondo grado, è già stato condannato a quattro anni di reclusione. In base alle accuse, avrebbe prestato soldi a strozzo ad un dipendente di un istituto di credito della città, successivamente deceduto. Per ottenere la restituzione dei soldi, con tanto di interessi, avrebbe più volte minacciato lo stesso dipendente di banca e la sua compagna, aggredendoli all’interno del loro appartamento. Di Mattia venne arrestato dagli agenti di polizia del commissariato, dopo la denuncia sporta dal dipendente di banca “strozzato” e dalla sua compagna. La vittima del prestito ad usura si sarebbe rivolto all’imputato al culmine di un periodo di forti difficoltà finanziarie. Sia il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Gela sia quelli della Corte di appello di Caltanissetta hanno confermato il quadro accusatorio emerso a conclusione dell’attività d’indagine. La difesa, però, ha sempre sostenuto che, in realtà, Di Mattia fosse a sua volta vittima di un giro d’usura. Una linea, però, mai confermata dai giudici. Sia il dipendente di banca sia la compagna, dopo l’avvio del procedimento, scelsero di costituirsi come parti civili, rappresentati dagli avvocati Giacomo Ventura, Filippo Spina e Maria Elena Ventura. Nella stessa inchiesta emerse il presunto ruolo svolto dal fratello dell’imputato, a sua volta sotto processo davanti al collegio penale del tribunale.