Gela. Ha rinunciato a collaborare con la giustizia perché non si sente tutelato. Il programma di protezione previsto per lui e i suoi familiari tarda ad attivarsi. Lunedì scorso, Roberto Di Stefano, 45 anni, ha sottoscritto in questura la fine della sua collaborazione con lo Stato, rinunciando anche ai diritti
di quella sicurezza che non gli sarebbe mai stata garantita. In questi lunghi nove mesi di attesa ha ricevuto anche un atto intimidatorio. Ignoti hanno dato alle fiamme la sua autovettura.
L’episodio avrebbe scosso la tranquillità di Roberto Di Stefano che dopo alcune pressioni ha maturato la decisione di rinunciare al programma di protezione e interrompere, quindi, ogni collaborazione con la giustizia. Il suo legale di fiducia conferma le motivazioni che hanno spinto l’ormai ex collaboratore a rivedere la scelta compiuta. Alla base ci sarebbe il ritardo amministrativo sulla formazione della commissione centrale, un apposito organismo che decide sui criteri di messa in sicurezza dei collaboratori di giustizia e dei loro familiari.
L’uomo aveva deciso di aprirsi ai magistrati a luglio dell’estate scorsa. In attesa dell’avvio di un vero e proprio programma di protezione ha avuto un figlio dalla sua convivente. Il legale dell’uomo non nasconde la propria contrarietà davanti alle lungaggini burocratica e ammette che Roberto Di Stefano e i suoi familiari non sarebbero dovuti rimanere in città.
“Avevo deciso di collaborare per tanti motivi – assicura Di Stefano – la mia situazione familiare non era delle migliori. Ero sotto protezione ma ho deciso di uscire dal programma. Adesso la mia vita riprenderà regolarmente. Non lavoro anche perché ho acquisito la libertà solo lunedì scorso. Dovrò cercare di andare avanti con le mie capacità rimanendo in città”.