Gela. Ieri, una tavola rotonda organizzata dall’associazione ex allievi del Liceo classico “Eschilo” e dall’Ordine degli avvocati sul tema “Giudici e Pm: separazione impossibile?”. Si sono confrontati, l’avvocato Antonio Gagliano, del foro locale e componente del Consiglio Nazionale Forense, il sostituito procuratore della procura locale, Luigi Lo Valvo e il giudice della sezione penale del tribunale, Eva Nicastro. Dopo i saluti e i ringraziamenti della professoressa Maria Grazia Falconeri, presidente dell’associazione ex allievi, e dell’avvocato Mariella Giordano, presidente dell’ordine degli avvocati di Gela, l’avvocato Egidio Alma, che è tra i decani del foro e dell’associazione ex allievi, ha introdotto i lavori riassumendo gli aspetti salienti delle varie posizioni politiche sulla questione della separazione delle carriere e ricordando alcuni tristi episodi di cronaca giudiziaria nei quali una scarsa autonomia dei giudici rispetto alle posizioni delle procure aveva determinato grave nocumento a persone ingiustamente accusate e tuttavia sottoposte ad una martellante persecuzione giudiziaria. L’avvocato Alma si è anche assunto l’onere di moderare un dibattito appassionato quanto rispettoso e ricco di argomenti a sostegno dell’una e dell’altra tesi. Il folto pubblico (con tanti avvocati ad assistere) ha seguito con grande attenzione i lavori che si sono protratti per alcune ore.
L’avvocato Gagliano ha ricordato che gli ordinamenti giudiziari caratterizzati dall’unicità di carriera di giudici e pm sono sempre stati espressione di una forma di Stato tendenzialmente autoritario in cui l’inserimento del pm nello stesso ordine giudiziario era innanzitutto finalizzato al controllo, da parte del governo, della funzione giudiziaria e dell’operato del singolo magistrato. La separazione, secondo Gagliano, serve quindi a garantire in modo completo ed effettivo l’indipendenza, l’imparzialità e la terzietà del giudice. Ha sostenuto il progetto di recente presentato in Senato di rivedere la Costituzione prevedendo un ordine distinto per i pubblici ministeri attraverso l’istituzione di un separato organo di autogoverno. Infatti l’attuale sistema, in cui i rappresentanti delle procure partecipano al Consiglio Superiore della Magistratura e da qui decidono anche a quali giudici debba essere assegnata la direzione delle Corti e dei Tribunali, non garantisce la terzierà ed indipendenza del giudice e finisce con il penalizzare la carriera di quei magistrati che sono considerati più garantisti e rispettosi dei diritti e delle libertà della persona e, per tale ragione, poco in linea con le iniziative della pubblica accusa.
È stata poi la volta del pubblico ministero Lo Valvo che ha denunciato, in capo all’avvocatura italiana e ad una certa politica, una sorta di “ossessione” per la separazione delle carriere il cui principale effetto, tutt’altro che positivo, sarebbe quello di assoggettare l’ufficio del pm al potere esecutivo del governo, assimilandolo alle forze dell’ordine e così sottraendolo a quella cultura della giurisdizione di cui oggi è parte e che rappresenta una maggior tutela per le libertà dei cittadini. L’appartenenza all’unico organo giudiziario garantisce inoltre che l’attività di indagine e l’esercizio dell’azione penale non sia indulgente verso i potenti.
L’intervento della dr.ssa Eva Nicastro ha preso le mosse da un attento excursus del dibattito svolto nel corso dei lavori dell’Assemblea costituente quando i membri furono chiamati a decidere sullo status che bisognava dare all’ufficio e alla funzione del pubblico ministero e ancora alla posizione in cui collocarlo rispetto al governo e al ministro della giustizia. Ha criticato la proposta di riforma perché non garantirebbe l’indipendenza e l’autonomia del pm. Questo rimarrebbe privo anche di quella fondamentale garanzia per il libero e autonomo esercizio della funzione che è data dalla inamovibilità del pubblico ministero al pari di quella del giudice. Si è detta in netto disaccordo con l’analisi secondo la quale oggi l’attività del giudice sarebbe in qualche modo condizionata dalla unicità della carriera con il pm e dalla comune partecipazione all’organo di autogoverno della magistratura. Per il giudice Nicastro, non c’è alcun condizionamento, nemmeno indiretto, per come dimostra anche il dato statistico delle numerosissime assoluzioni.
È stato invitato ad intervenire l’avvocato Giacomo Ventura, storico presidente della Camera penale locale e che alcuni giorni fa è stato chiamato a far parte dell’organismo nazionale di garanzia dell’Unione delle Camere Penali Italiane. Ha spiegato le ragioni per cui sostiene in modo convinto la proposta di separare le carriere di giudici e pm evidenziando in particolar modo che il modello del processo accusatorio che è stato recepito nella Carta Costituzionale con la riforma dell’articolo 111 è inconciliabile con l’appartenenza di una parte processuale, quale è il pm al pari della difesa, al medesimo ordine ed alla stessa organizzazione di cui fa parte il giudice, così pregiudicandone la indispensabile terzietà.
Nel concludere i lavori si è sottolineato come la questione dibattuta vede la magistratura e l’avvocatura su fronti diametralmente contrapposti, sostenendo la prima la necessità di mantenere l’attuale sistema e ritenendo invece la seconda assolutamente indispensabile l’adozione in tempi brevi di una riforma in senso separativo che affranchi il giudice da ogni possibile condizionamento da parte della pubblica accusa.