Gela. “Era impossibile dire no a quelle persone. Se chiedevano diecimila euro, dovevi darglieli. Non c’era scelta”.
“Nessun pizzino da Emmanuello”. L’imprenditore edile Sandro Missuto, finito a giudizio davanti al collegio presieduto dal giudice Veronica Vaccaro perché accusato di aver avuto presunti rapporti diretti con i clan, è stato sentito in aula. “Non ho mai ricevuto pizzini da Daniele Emmanuello – ha spiegato – ad un certo punto, pagavo 3.500 euro alla stidda e 1.500 a cosa nostra. Francesco Vella mi faceva arrivare minacce anche quando si trovava in carcere. Se non avessi pagato, avrebbe ucciso mio fratello”. L’imputato ha risposto alle domande formulate dal pubblico ministero Luigi Leghissa e dai legali di difesa Boris Pastorello e Giuseppe Rapisarda.
Il due percento dell’appalto per Disueri. Gli interessi dei clan, stando alla testimonianza resa da Missuto, si sarebbero concentrati sui lavori per la diga Disueri. “Subimmo il danneggiamento dei mezzi, volevano il due percento dell’intero ammontare dell’appalto ottenuto dalla Safab – ha continuato – dovevo pagare non solo per i lavori in città ma anche per quelli a Lentini e Palermo. Quando mi trovavo a operare in altre province, ero costretto a mettermi in regola con i clan del posto che pretendevano i pagamenti”.
Il colloquio intercettato. Nel corso dell’udienza, è stato ascoltato il titolare di una piccola azienda che, intercettato durante un colloquio con lo stesso Missuto, avrebbe attirato l’attenzione degli inquirenti soprattutto sul fronte dei presunti rapporti tra il boss Daniele Emmanuello e lo stesso imputato. “Non ricordo quella discussione – ha precisato – mi rivolsi a Missuto quando venni avvicinato, durante un lavoro a Catania, da Angelo Santapaola. Voleva i soldi dell’estorsione. Credevo, magari, che Missuto potesse darmi un consiglio su come agire visto che aveva cantieri sparsi per l’isola”. Il dibattimento si avvia alla conclusione. Durante la prossima udienza, dovrebbero arrivare le richieste del pubblico ministero.