Referendum “invisibili”, la sfida per i diritti passa dal silenzio delle urne
Cinque referendum su lavoro, cittadinanza e sicurezza, ma nel Paese regna il silenzio. Il comitato inizia la sensibilizzazione tra la gente.

Gela. Un foglio, una manciata di parole, e una domanda: "Sapete che l’8 e il 9 giugno si vota per cinque referendum?". A farla sono i volontari del comitato cittadino per il Sì, che questa mattina hanno dato il via alla campagna informativa tra i passanti del Lungomare, già affollato con l’arrivo dell’estate.
Non una semplice promozione del voto, ma – come dicono loro – una corsa contro il tempo e contro il silenzio. Perché in pochi, pochissimi, sanno che tra meno di un mese si vota su temi cruciali: tutele contro i licenziamenti illegittimi, limiti ai contratti a termine, sicurezza negli appalti, riduzione per i tempi della cittadinanza. Una consultazione che, sulla carta, potrebbe ridisegnare diritti fondamentali nel mondo del lavoro e non solo.
Ma il primo vero ostacolo non è politico. È numerico. Perché i referendum siano validi, devono raggiungere il quorum: almeno il 50% più uno degli aventi diritto deve votare. Ecco perché – denunciano i promotori – non serve nemmeno dire “No”. Basta non andare a votare.
Un’astensione calcolata, organizzata. I principali partiti di governo, con comunicazioni ufficiali e dichiarazioni pubbliche, hanno scelto apertamente la linea del silenzio. Invitano all’assenza.
Una strategia che, secondo i comitati, svuota le urne senza chiuderle. E nel farlo, cancella il dibattito. “Non è il popolo che rifiuta il referendum – denunciano – è il referendum che viene cancellato dal discorso pubblico”.
E allora, in questo scenario di invisibilità e disattenzione costruita, l’unica forma di resistenza, per chi crede ancora nella partecipazione democratica, è proprio andare a votare.
Un voto che, in assenza di informazione, diventa anche testimonianza. Un gesto di presenza, in un Paese in cui, almeno su questi quesiti, rischia di vincere l’assenza.