Gela. Una rapina, messa a segno sei anni fa, in un’abitazione a pochi passi da piazza Sant’Agostino, in pieno centro storico. Chi agì puntava al contenuto di una cassaforte, presente all’interno dell’appartamento. I rapinatori, secondo le accuse, non si tirarono indietro nonostante la presenza di una donna, che vive nello stabile e che fu bloccata, “per almeno cinque ore”, così ha riferito nel corso della sua testimonianza, resa davanti al collegio penale del tribunale. Sarebbero stati rubati diversi monili di valore. Le accuse sono mosse a Maurizio Smorta, Nicolò Morello, Patrizia Morello e Michael Costarelli. La testimone, durante il lungo esame, ha fatto riferimento a particolari di quella vicenda, che accusa e difesa valutano in maniera assolutamente opposta. In base alle contestazioni avanzate dalla procura, i rapinatori entrarono in azione sapendo bene dove colpire e soprattutto in quale stanza dell’abitazione era collocata la cassaforte. Avrebbero ricevuto indicazioni dalla Morello, che lavorò per conto della proprietaria dell’immobile, occupandosi della sua assistenza. Ad entrare materialmente in azione sarebbero stati Smorta e Nicolò Morello. Costarelli avrebbe fatto da palo, all’esterno dello stabile. La testimone, che ha fornito una versione non sempre conforme rispetto a quello che dichiarò in fase di indagine, ha comunque spiegato di non aver visto il volto di nessuno dei rapinatori, coperti da passamontagna. Ha risposto alle domande del pm Marco Rota e a quelle giunte dai banchi della difesa, formulate dal legale Filippo Spina. Proprio secondo la difesa, ci sarebbero diverse incongruenze ricostruttive rispetto all’intera vicenda. Gli imputati hanno sempre respinto l’accusa di aver agito. Gli inquirenti propendono per il collegamento diretto tra la rapina e i quattro. Il rapporto lavorativo praticamente concluso tra la Morello e la famiglia proprietaria dell’immobile, secondo i pm della procura avrebbe accelerato l’organizzazione del colpo, anche se la dinamica non è stata ben chiarita dalla testimone. La donna sentita in aula ha riferito di una cassaforte forzata a colpi di martello e scalpello. Successivamente, i rapinatori avrebbero usato un sistema elettrico per forzarla e appropriarsi del contenuto. Per la difesa, non ci sarebbe alcun riscontro per provare un coinvolgimento. E’ stato riferito che la stessa Morello riuscì ad ottenere quanto le spettava a conclusione del rapporto di lavoro, rivolgendosi al sindacato e attraverso una regolare vertenza. La testimone ha ammesso di aver subito un forte shock per la rapina messa in atto in sua presenza.
Durante quelle ore, in presenza dei due rapinatori, sarebbe riuscita comunque ad assumere degli ansiolitici, per limitare la tensione e lo stato di paura. Non ci sarebbero state minacce esplicite e i due lasciarono l’appartamento, portando via parecchia refurtiva. Un altro residente dello stabile sarà sentito nel corso della prossima udienza, quando è prevista la verifica di alcune foto segnaletiche, per valutare se i testimoni riusciranno a fornire ulteriori particolari.