La ragazza, prima di lasciare la casa di vico Trinità dei Monti, salutò di nuovo, soffiando un bacio sulla sua mano destra e lanciandola verso Fabrizio; poi si diresse verso l’uscio, prendendo nell’anticamera la sua borsetta nera ed un mazzo di chiavi.
Era ancora mattina; il tragitto tra la sua dimora e la sede di lavoro questa volta e rispetto al passato fu percorso lentamente, riflettendo sul contenuto del dialogo mattutino che in fondo era stato costruttivo, anche se il compagno era apparso meno gentile e goliardico di sempre.
Non le piaceva dibattersi su ogni cosa e negli ultimi giorni il compagno era sembrato meno disponibile e più borioso; pensò che la sua strategia di averlo per un po’ snobbato fosse vincente.
Lungo la strada, però, l’apparente indifferenza cedette di colpo il posto a dei pensieri mesti e contriti.
In silenzio continuò a macinare i suoi passi e, stranamente, più si avvicinò al palazzo del tribunale capitolino, più si sentì irritata dentro l’anima per l’intransigenza di Fabrizio.
Il procuratore l’aspettava.
Il giorno prima l’aveva invitata a rivedersi l’indomani nel suo ufficio e Lorella accelerò dunque il passo verso piazzale Clodio, anche se le sue scarpette le permettevano di adagiarlo alla freschezza del tenue mattino e altre volte l’avevano portata a gustarsi la serenità del giorno e delle vie d’intorno.
Giunta in tribunale, immediatamente si portò nell’ufficio del procuratore, all’ultimo piano dell’edificio del maestoso centro direzionale.
Dario, vestito di un elegante abito blu e di una cravatta dai colori elettrici e floreali, l’attendeva impaziente; la invitò ad accomodarsi e ad adagiarsi sul divano presidenziale, offrendosi di versarle del caffè ancora bollente, che lui stesso poco prima fece giungere dal bar.
“Mi dispiace, Lorella, per la querelle dei giorni scorsi, nata dall’incarico dell’insider trading”, le disse il dottor Gaymonat, sornione, pacifico e aprendo il dialogo.
“Oramai è acqua passata”, continuò a dirle.
“Ieri sera ho riflettuto molto e debbo prendere atto che sei una valida sostituto.
Ti chiedo umilmente scusa; accetta la mia delega nelle riunioni istituzionali di rappresentanza dell’ufficio.
Immagino che non saprai dirmi di no: so che desideri avere degli incarichi con i quali misurarti professionalmente, e voglio dartene l’opportunità.
Non te l’aspettavi, vero?”, concluse il dirigente dell’ufficio, con uno sguardo enigmatico e due occhi convincenti.
Lei guardò Dario stupito, ed imprevedibile, con il sorriso accattivante, si lasciò scappare un’espressione di felicità ed il grido di “hurrà”.
“Sì, certo”, aggiunse adagiandosi ancor più comodamente sul divano degli ospiti, accavallando le sue gambe in movimento, mostrando familiarità e sicurezza.
Lorella si fidava totalmente del suo capo; galvanizzata e con la voce squillante, decise di aprirsi: “Di cosa si tratta?”
“Voglio che curi le relazioni dell’ufficio della procura della repubblica con le istituzioni e che ti occupi anche delle notizie di reato che riguardano il terrorismo islamico”, le rispose.
“In passato hai offerto prova di competenza e di professionalità nelle indagini più difficili; ora voglio che tu faccia esperienza in tale delicato settore investigativo, anche perché, se il sesto senso non mi inganna, un domani non lontano avremo molto lavoro da fare.
Vi è in gioco la sicurezza della nazione”.
Lorella, a sentirlo parlare con tono iconoclastico, all’improvviso assunse l’atteggiamento serio, quasi pronta allo scatto, prefigurandosi il gravoso compito che l’attendeva, rimanendo però comoda sul divano, dicendo di credergli poiché non passava un solo giorno che i media nazionali non dessero le notizie di attentati terroristici e di imminenti pericoli che oscuravano la pace di Roma e del mondo occidentale.
“Il nostro mondo non è più sicuro come lo era prima dell’11 Settembre”, replicò l’elegante ragazza.
“Non lo era ancora prima”, le rispose Dario con il rigore dell’attento conoscitore della politica internazionale, asserendo che il seme dell’odio islamico trovasse le sue radici nelle aberrazioni della politica dell’economia globale, del capitalismo americano in medio oriente e nella sua presenza militare sul suolo della penisola arabica.
“Chissà perché i media non parlino mai della genesi del terrorismo islamico e di Al Qaida”, aggiunse l’uomo.
“Il mondo è cambiato con la prima guerra in Afghanistan tra i mujaheddin e l’invasore sovietico.
Le vie del petrolio fanno gola alle superpotenze e gli americani sono i maestri nel controllo della produzione, trasporto e commercializzazione di tale risorsa”, analizzò sicuro.
“Pensa, mia cara: il sessanta per cento delle risorse petrolifere mondiali si trova sotto le sabbie del medio oriente e quell’area geografica è occupata dai paesi islamici, di religione sunnita e sciita, che sono in conflitto da secoli.
Al Qaida ha colpito gli Stati Uniti d’America non appena i suoi capi si sono resi conto che il nemico russo era lontano, e conta sull’unità di tutti i musulmani contro un nuovo e comune pericolo.
Quando il fanatismo religioso si mischia con le considerazioni politiche e sociali, ne deriva la rivolta dei diseredati contro i ricchi; e Al Qaida si è fatta promotrice dei problemi delle masse arabe, individuando il nemico da combattere nel diavolo americano”.
“Mia cara”, continuò l’uomo, “gli uomini non sono dei kamikaze.
E’ abbastanza insolito che ci siano uomini disposti a farsi saltare in aria con l’esplosivo, e che tra di loro non vi sia un’apparente collegamento etnico, politico o religioso.
I palestinesi, i ceceni, ora i musulmani di ogni parte del nord Africa, del medio oriente, addirittura di cittadinanza britannica e cresciuti nel mondo multietnico della civilissima città di Londra, sono disposti a immolare la vita contro il gigante americano, i suoi alleati e le lobby ebraiche e texane che lo sorreggono.
Anche gli americani sono stati dei kamikaze con la loro politica internazionale, miope e arrogante”, sentenziò Dario.
“Adesso i sentimenti e i valori di persone come te e me devono creare nell’opinione pubblica una visione politica diversa, protesa alla risoluzione dei problemi del mondo arabo ed islamico attraverso il dialogo e la pacifica convivenza dei popoli. E senza nascondere la verità; senza alcuna soggezione nei confronti dei nostri alleati americani.
L’aria all’interno dell’ufficio divenne più grave e Dario più certosino.
“L’America, l’Europa, il mondo occidentale intero è terrorizzato dalle organizzazioni integraliste islamiche che predicano la morte come valore, quanto lo è per noi la vita, dicendo che il loro sangue è acqua, e il nostro sangue è sangue.
Ho sempre avuto una visione della vita protesa alla ricerca dei valori, creduto nell’autodeterminazione dei popoli, alla pacifica risoluzione delle tensioni internazionali mediante il dialogo tra gli Stati ma, con imbarazzo constato, mia cara collega, che ora è troppo tardi per cercare di risolvere i problemi mediante la diplomazia e la pacifica convivenza.
E’ come se io mi fossi comportato da despota con il personale della cancelleria di questo tribunale e ora pretendessi che dietro le mie spalle alcun impiegato sparlasse e mi dicesse di non essere un figlio di puttana”.
Dario era un vulcano in eruzione; non aveva mai parlato con Lorella della sua concezione della vita e delle proprie idee politiche.
In fondo, conosceva la collega da poco tempo, ma lo sguardo fiero e l’intelligenza della donna lo invitarono a discutere ed elucubrare con decisione e veemenza sui problemi che non erano astratti ma vissuti da ogni cittadino in prima persona.
Come ogni uomo onesto, il procuratore si domandò se quando stesse accadendo nel mondo poteva essere evitato; pensò anche di ritenersi nel suo piccolo, ed in parte, responsabile per non avere gridato all’occidente che l’arroganza, la prepotenza delle lobby ebraiche, americane e dei colossi economici a stelle e strisce potevano essere fermate.
Si sentì pure frustrato, aggiunse, per non essere stato in gioventù un sessantottino, lontano dai movimenti proletari di protesta che tante speranze, oramai sopite, avevano suscitato.
Ma ormai era tardi perché quegli anni erano passati; ora era un uomo maturo e disse di non potersi ritirare indietro nel dare alla nazione un suo contributo.
“Ti assicuro, mia cara: oggi in Italia ed in Europa siamo in trincea.
Per quel che ci riguarda, poi, noi non siamo uomini politici ma magistrati; dobbiamo dunque prevenire e combattere ogni tentativo di strage e gli attacchi sul territorio nazionale, in particolare nella nostra amata Roma, dove abbiamo il gravoso compito di reprimere i delitti e tutelarne l’immagine storica”.
Lorella ruppe l’atteggiamento di ascolto, si alzò e rise, simulando un applauso, chiarendo che voleva spezzare l’atmosfera cupa che nel frattempo era scesa all’interno dell’ufficio.
Per un momento, il procuratore non riuscì a riprendere la parola; con gli occhi lucidi e pieni di orgoglio, si avvicinò alla collega, poggiando le sue robuste mani aperte sulle spalle dell’attraente ragazza, dicendole di non essere mai stato così serio, di avere il coraggio ad affrontare compiti gravosi e a caricarsi di responsabilità, che l’unione delle loro idee era la forza dell’ufficio.
L’abbracciò; infine prese posto sulla sua scrivania.
“Il presidente del consiglio ha riunito il suo staff e intende avere una relazione completa sullo stato della sicurezza nazionale e sulle infiltrazioni di cellule terroristiche in Italia”, gli rappresentò da attenta inquirente l’aitante ragazza, parlandogli in piedi diritta dall’altra parte della scrivania e con le mani ivi poggiate.
“Come sai di notizie così riservate?” replicò l’uomo, seduto sulla sedia e muovendosi sull’asse di rotazione della poltrona girevole, guardando diritto negli occhi la donna.
“Fabrizio fa parte della commissione governativa sulla sicurezza dello Stato”, rispose sicura la giovane magistrato.
“Intende riferire al premier le sue intuizioni personali e redigere un’attenta relazione che fotografa il Paese; ritiene poi che si è in ritardo nella predisposizione di un piano nazionale strategico che possa prevenire l’ingresso di cellule di criminali, i quali intendono preparare gli attentati sul territorio italiano, tuttavia ha una visione politico-giuridica di garanzia e pensa che la magistratura debba segnare il passo al potere esecutivo, senza alcuna commistione con le procure.
Uno dei capisaldi del suo modo di valutare le cose è quello che la magistratura non possa essere a capo di un pool investigativo mediante l’istituzione di una super procura che disponga del forte apparato dei servizi segreti e di tutte le forze di polizia.
Pena, a suo dire, l’indipendenza e l’imparzialità dello stesso ufficio del magistrato.
Non lo so, non riesco a capirlo”, sbottò sgomenta Lorella.
“Abbi fiducia nel tuo uomo”, disse l’anziano ed esperto procuratore.
“Egli è esuberante, però ha una visione oggettiva dei fatti ed è attento a saper cogliere i segnali degli eventi.
In ogni caso, il problema sta a monte.
Occorrerebbe un’inversione di rotta del primo ministro, a centottanta gradi, dissociandosi dalla politica delle lobby presenti nel governo, dettate da quel testardo del signor ministro del tesoro e dunque dagli yankee americani, facendo blocco comune con la casa comune dell’Unione Europea.
Non a caso, la Francia e la Germania hanno preso le distanze politiche e militari dall’invasione americana in Iraq.
Penso che oramai i terroristi abbiano di mira anche la nostra nazione.
Ci sono i rapporti dell’intelligence che avvalorano tale ipotesi; il Vaticano e gli altri obiettivi sensibili più strategici della nostra città costituiscono un facile bersaglio”.
“E il presidente del consiglio ha una sola via d’uscita”, concluse la donna con voce grave e commossa, ricordando nitidamente la fierezza del premier ad avere la capacità di ritornare dalle sue ultime decisioni che in politica interna ed estera s’erano rivelate intempestive.
“Ciò è inverosimile”, osservò il procuratore capo.
“Le sue aziende industriali sono in pole position nell’aggiudicazione degli appalti inerenti la ricostruzione dell’Iraq, e la nostra principale società aerospaziale nazionale ha un incrocio azionario con le maggiori industrie americane posizionate nell’industria bellica e dell’aeronautica.
Poi, il nostro presidente e il suo staff economico mirano all’acquisizione di alcune tra le più importanti società petrolifere al mondo.
Basti pensare ai colossi energetici russi che sono in crisi e necessitano di nuovi capitali, possibilmente con una delle sette sorelle del mondo occidentale.
La Yukos, principale società petrolifera della Russia, ad esempio, è una preda e c’è un accordo tra il governo italiano e il primo ministro di quel Paese per scalarla, mediante degli incroci azionari, acquistandola solo con trentacinque miliardi di dollari.
Capisci dunque perché nonostante la grave crisi internazionale delle borse mondiali, il prezzo del petrolio è schizzato da undici dollari al barile a oltre ottantaquattro…
Era necessario finanziare l’invasione!
Allora, occorre rimboccarsi le maniche, agire sull’elettorato più moderato e riportarlo a sinistra, augurandosi una svolta in politica estera mediante le nuove e imminenti elezioni politiche e, per quel che ci riguarda, monitorare e prevenire ogni piccolo segnale che suoni da allarme per una strategia della tensione di matrice islamica”.
“Come puoi dirlo, Dario? Il presidente è un uomo saggio”, puntualizzò la donna, continuando a dire che le elezioni politiche non possono essere considerate sempre l’elisir della salvezza.
“Egli dovrà agire subito”, continuò a ripetere appassionata e con il fervore, “domani chiamerò la first lady chiedendole un incontro.
Lei saprà consigliare il marito, e forse lo salverà dalla futura debacle elettorale; lui è mal consigliato politicamente, ma non è un ottuso.
La moglie mi è amica e sarà la chiave di svolta della sua politica estera”, replicò decisa la donna, accalorandosi sempre più.
Il procuratore, intanto, stava seduto sullo scrittoio, scrutando da cima a fondo la donna che, alzatisi dalla poltrona nella quale lei si era riaccomodata solo per un attimo, si muoveva nella stanza con grazia, le appariva paladino delle sue idee e perché no, più bella ed intrigante.
Con voce bassa e commossa, Dario disse di non avere dimenticato l’orrore della strage consumatasi alle torri gemelle, a New York, ma l’intuito gli suggeriva che dopo gli ultimi attacchi di Londra, un attentato in Italia era in fase di studio.
“In chiave planetaria, i terroristi mirano ad abbattere il presidente americano e i suoi alleati europei più fidati, a una guerra di religione da esportare sul territorio occidentale, e allo scontro di due culture e civiltà diverse, la nostra e la loro.
In Italia, i siti internet di matrice islamica parlano chiaro e, forse, con le imminenti elezioni”, osservò il procuratore , “un governo di sinistra può prevenire il peggio…
Secondo i rapporti di intelligence più fidati, Roma è indicata come il possibile bersaglio e il Papa è il simbolo per antonomasia del ricco mondo occidentale, figlio della cultura cristiana.
Nella cronaca estera di oggi c’è una notizia che sconvolge le menti più sensibili e scuote la sicurezza dell’Europa”, continuò ad argomentare il giudice.
“E’ quella che è stata acquisita la prova certa della matrice islamica delle stragi dei giorni scorsi, di Parigi, ai Champes Elisèe e della torre Eiffel, che seguono quelle di Madrid, Londra e di Casablanca.
Il terrorismo è universale; dal Medio Oriente si è insinuato nella regione del Maghreb e da lì nella penisola iberica, fino in Francia.
Anche in Gran Bretagna sono nate delle cellule fondamentaliste locali, partorite dall’insensibilità dei conservatori a risolvere i problemi del medio oriente e dei paesi islamici.
Se il terrore non è alle nostre porte, è perché le cellule di Al Qaida o di altre entità islamiche a questa collegate, ancora non hanno una fine logistica e delle sicure basi nel territorio italiano.
Occorre fare presto.
E’ questione di mesi, forse di giorni o d’ore; occorre rimboccarsi le maniche”, replicò come un fiume vorticoso e deciso il procuratore.
“Da alcune settimane sono stati iscritti nel registro notizie di reato della procura della repubblica due yemeniti, un marocchino, alcuni egiziani e tre arabi sauditi.
Pur se questi vivono a Roma da alcuni mesi e sono in possesso di regolari permessi di soggiorno rilasciati dalla questura capitolina, la fonte confidenziale alla quale era stato rilasciata la licenza di soggiorno, pur non avendone i requisiti di legge, ha riferito che essi preparano a Roma un attentato all’ambasciata americana di via Veneto.
Ho disposto le perquisizioni locali che hanno avuto l’esito negativo, e anche se nelle loro dimore non è stato trovato del materiale indiziario, ho la certezza che non essi sono comuni arabi e musulmani inseriti nel mondo degli affari.
L’ispettore Parisi, della nostra procura, nella sua relazione di servizio, mi ha informato che i due uomini yemeniti sospettati non hanno alcun contatto con le aziende commerciali o le società italiane che operano a Roma e dintorni.
Eppure il loro tenore di vita non è modesto e vivono in un residence qui a Roma, sulla Nomentana, a pochi passi da villa Pamphili.
Poi, i contatti con gli altri indagati arabi ed egiziani, dei quali i servizi segreti dei rispettivi paesi hanno riferito essere degli oppositori del governo e vicino ai fondamentalisti islamici di quelle nazioni, sono un segnale inquietante.
Non lo so.
Gatta ci cova”, disse con l’atteggiamento di riflessione il giudice più anziano, accarezzandosi con la mano destra i suoi baffi brizzolati.
“Nessuno può dire quali dispiaceri possono procurare!
Mi chiedo, perché la fonte confidenziale si è intestardita ad allarmare continuamente, esponendosi personalmente e rischiando di non ottenere l’ingresso in Italia della sua famiglia che ancora oggi vive in Giordania, il comandante della compagnia dei carabinieri di Roma, pretendendo di essere sentito personalmente dal procuratore della repubblica e dal responsabile del Sismi nella capitale?
Qual’è l’atroce progetto che perseguono, quali le ragioni per le quali sul conto corrente bancario di uno degli indagati sono transitati ben 930.000 dollari, senza che sia rimasta alcuna traccia delle somme accreditate?
L’intuito non può tradirmi.
Sono sicuro che si tratti di terroristi pericolosi e che quei movimenti di denari siano il prezzo dei loro loschi affari.
Chiederò ancora delle intercettazioni ambientali e telefoniche: se coltivano del marcio, esso verrà a galla.
Richiederemo l’emissione delle ordinanze di custodia cautelare in carcere a carico dei sospettati; soprattutto ora che, dopo le perquisizioni nelle rispettive abitazioni, hanno sentito il fiato delle nostre forze di polizia e pensano che noi siamo lontani e loro al sicuro.
La procura è attrezzata a dovere per tali operazioni e ha ottimi interpreti arabi di madre lingua; inoltre, la questura locale ci darà man forte”.
Lorella, per un momento rimase stupefatta dal carattere dirompente e imperioso del collega, il quale in quel lungo monologo s’intestardì e non si diede per sconfitto; per un attimo gli ricordò Fabrizio.
In fondo i due uomini avevano un carattere deciso; l’intuito e l’intelligenza li accomunava.
Ma Fabrizio si stava trasformando, come se l’aria della capitale ne facesse un uomo diverso dal ragazzo siciliano gentile e solare che lei aveva conosciuto, mentre il procuratore era un uomo più maturo, coerente alle sue idee e aveva un fortissimo carattere.
Con gli occhi pieni di solidarietà, gli annuì ancora una volta, e con uno scatto da lasciare stupito il capo, si diresse verso l’uscio, dicendo a forte voce che si recava nella sua stanza a redigere una richiesta di intercettazioni ambientali e telefoniche contro gli indagati e che in giornata l’avrebbe presentata al giudice delle indagini preliminari.
Giunta nel suo ufficio, rimuginò sempre più convinta su quanto si era detto con il collega, e si mise al lavoro con certosino puntiglio, motivando la richiesta degli atti invasivi per tutti i sospettati, richiedendo espressamente che per le intercettazioni telefoniche fossero utilizzati gli apparati tecnici della procura.
Erano quasi le tredici quando la giudice finì di lavorare e, dopo aver comandato alla segretaria di depositare la richiesta presso la cancelleria del giudice delle indagini preliminari, non contenta, utilizzò il cellulare per chiamare il collega dell’ufficio indagini e perorargli una decisione celere alla sua richiesta, invitandolo a far presto per andare poi a consumare un panino al bar di piazza Clodio.
Alle quattordici, i due si ritrovarono attorno a un tavolo, e commentarono sulla gravità di quanto potesse essere accertato; convennero che l’ipotesi di entrambi i giudici, la requirente ed il giudicante, era peregrina, labilmente indiziaria ma, con un pizzico di fortuna, avrebbe potuto rivelarsi grave, dunque probabile.
Inconsciamente, però, si sperava che gli indagati fossero veramente degli extracomunitari amici del paese che li ospitava e che l’ipotesi di reato di terroristi pronti a tutto fosse del tutto infondata.
“E’ tardi”, le disse il giudice delle indagini preliminari.
“Ti sei sentita con Fabrizio?”
“No, lo farò forse più tardi”, rispose vaga.
Lorella durante la giornata vedeva poco Fabrizio; da qualche giorno stava accadendo che le telefonate tra i due morosi fossero sempre più rare, a meno che lui chiamasse la sua donna per dirle che l’invitava a pranzare oppure a cena al solito ristorante vicino piazza Venezia, dal Conte Risolo, i cui piatti prelibati, di spaghetti alla matriciana o di cavatelli al cacio e al carciofo romano, erano le specialità del fine locale, apprezzate da tutti i buongustai dei sette colli.
Il pomeriggio trascorse serenamente al bar ristorante e i due colleghi, impegnati in valutazioni giuridiche e nelle deduzioni, non si accorsero nemmeno del tempo passato; ritornarono a palazzo di giustizia, ripercorrendo a passo veloce il piazzale.
Mezz’ora dopo Fabrizio passò lì con la sua lucida e fiammante autovettura per prelevare Lorella, proveniente da via Laudanesi ed incurante che la zona del centro storico di Roma fosse a quell’ora chiusa al traffico non autorizzato, e si diresse verso l’uscita del tribunale.
Il giovane legale arrivò a palazzo mentre Lorella, conversando amabilmente con il collega, stava uscendo dall’ingresso dell’edificio, e dopo averla intercettata prima della fine del marciapiede dell’edificio pubblico, con un cenno veloce della mano, seguito dalla voce forte e calda, e da un sorriso, la invitò a salire sull’autovettura, rimanendo per lunghi e interminabili minuti a gironzolare per le vie di Roma, passando con la fiammante autovettura dal viale dei fori imperiali, poi da Piazza Venezia, fino al Lungotevere, cercando di intrattenere con la compagna un’amabile conversazione.
Un’ora dopo, giunti sotto la loro dimora, parcheggiata l’autovettura, Lorella prese la borsetta, percorse di fretta la breve strada coperta da sanpietrini e si accinse immediatamente di salire in appartamento, dicendo sull’androne al giovane compagno, che la seguì stupefatto ed in silenzio, di avere un leggero mal di testa e che l’avrebbe aspettato sopra.
Durante la passeggiata, l’atmosfera tra i due giovani non era stata di quelle consuete, ed entrambi erano convinti che qualcosa nell’altro non fosse al suo posto e stesse cambiando.
“Fabrizio, cosa diavolo ci sta succedendo?”, domandò Lorella una volta che il ragazzo salì nell’attico e dall’interno aveva dato le mandate di chiusura alla porta blindata di casa.
“Forse siamo stanchi, insofferenti l’uno dell’altro”, rimarcò lei.
“O forse ti sei stancato di me? Dimmelo pure”.
“Non dire sciocchezze, tesoro mio”, le rassicurò Fabrizio, provando la strana sensazione che lo sguardo e la luce degli occhi della ragazza fossero diversi da quelli dei giorni, delle settimane e dei mesi passati, avvicinandola a sé con la dolcezza di sempre, accarezzandola a un fianco con la mano destra, come se volesse dirle di ritornare di essere se stessi.
Lorella però non nascose di essere indispettita; a suo dire non lo perdonava della freddezza del giorno precedente.
A quel punto i due innamorati erano vicini a posizioni di rottura, e dall’ingresso dell’attico si persero in stanze diverse; lui si portò in soggiorno, a vedere la tv in un apparecchio a cristalli liquidi di ultima generazione, lei col broncio e stizzita, raggiunse la sua camera, distendendosi nel letto e leggendo gli ultimi capitoli del suo romanzo francese, riuscendo a pensare con lo sguardo lontano solo al procuratore capo e alla disperazione con la quale l’uomo affrontava ogni giorno i suoi problemi, che gli avevano dato una solitudine che durava oramai da anni, senza avere il coraggio e le energie di lasciare la stancante e scialba moglie, fuggendo da quell’incubo.
Eppure Dario era un coraggioso, e i coraggiosi sono uomini che non fuggono mai.
E le venne in mente la moglie del collega che era in preda alla depressione; forse la signora non era una vittima del suo male, anzi si convinse, definitivamente, che fosse la subdola carnefice del marito.
Dopo aver chiuso il libro, segnando la pagina della lettura serale, Lorella giurò a se stessa che avrebbe fatto quanto fosse in suo potere per aiutare il novello amico e, per la prima volta, pensò al suo uomo come a un estraneo, addormentandosi senza aspettare che il compagno la raggiungesse dopo una rinfrescante doccia, per starle accanto a letto, fare l’amore e darle, come di consueto, il bacio della buona notte.