Gela. Quattro ore di arringa difensiva per provare a convincere la corte d’Appello che Domenico Giuseppe Cafà non ha ucciso Luciano Bellomo, il commerciante freddato la sera del 24 settembre 2007 in viale Enrico Mattei.
L’avvocato Botta, difensore dell’imputato assolto in primo grado dall’accusa di omicidio, ha concluso la sua lunga arringa (ci sono volute due udienze) ribattendo punto per punto alle accuse mosse dal procuratore generale Ferdinando Assaro che ha invece chiesto l’ergastolo per Cafà.
Uno dei punti fondanti del processo sono le intercettazioni telefoniche ed ambientali che incastrerebbero l’imputato. Carmelo Curvà, suo presunto complice e già condannato in due gradi di giudizio, è stato intercettato mentre conversava con Cafà nel giugno del 2008. “Se lo meritava. Io spero di farla franca”, è una delle frasi su cui punta l’accusa per provare la colpevolezza di Domenico Giuseppe Cafà nell’omicidio di Luciano Bellomo. Una frase pronunciata in dialetto in carcere a Carmelo Massimo Billizzi, che l’ha svelata poi ai magistrati. Poi c’è il dialogo con Curvà. Il difensore ha però rilevato che appare inusuale intercettare quella telefonata nove mesi dopo il delitto e appena tre giorni dopo che la polizia aveva ottenuto l’autorizzazione dalla procura. Secondo l’avvocato Botta quella di Curvà potrebbe essere anche considerata una forzatura per far parlare Cafà. Si è anche argomentato sulle celle telefoniche, ovvero sulla circostanza che il telefono di Cafà alle 19,15 fosse irraggiungibile mentre quello della vittima (che aveva lo stesso gestore telefonico) era invece rintracciabile. L’undici febbraio la controreplica del Pg Asaro. Poi la corte si ritirerà in camera di consiglio per la sentenza.
Per l’accusa invece ci sono prove a sufficienza per confermare che sia stato l’imputato (assolto in primo grado) ad uccidere Luciano Bellomo il 24 settembre del 2007. Sentenza a febbraio.