Gela. “Trattata come una schiava per oltre trent’anni, prima di scegliere la denuncia”.
La ricostruzione in aula. A descrivere quanto accaduto ad una donna che, alla fine, ha deciso di denunciare l’ex consorte, sono stati in aula il pubblico ministero Pamela Cellura e il legale di parte civile. A processo, davanti al giudice Miriam D’Amore, è finito l’anziano marito, difeso dall’avvocato Davide Limoncello. Alla fine, è arrivata la condanna a due anni di reclusione. Il pm Pamela Cellura aveva chiesto un verdetto più pesante, due anni e nove mesi di detenzione. “Le violenze sono state ripetute – ha detto in aula il pm – e avvenivano davanti ai figli, a loro volta vittime del padre”. Una vicenda familiare che dal 1975 si sarebbe protratta fino almeno al 2011. “Una ricostruzione forzata – ha detto invece il legale di difesa – la verità è che l’accanimento verso l’imputato si è manifestato dopo che ha iniziato ad avere grossi problemi di salute”. La difesa, così, ha escluso che l’ex operaio abbia trasformato la quotidianità della sua famiglia in un vero e proprio incubo, fatto di soprusi e violenze. La ricostruzione difensiva, però, non ha convinto il giudice D’Amore che, alla fine, ha emesso un dispositivo di condanna. Il giudice ha riconosciuto alla donna, costituita parte civile, il diritto al risarcimento dei danni.