Palazzo Benintende | Il bugnato aristocratico di Caltanissetta e l’incontro con un personaggio che non immagini
Palazzo Benintende, corso Vittorio Emanuele a Caltanissetta: facciata bugnata ottocentesca, colonne ionico-doriche e la visita di Garibaldi.

Nel pieno centro di Caltanissetta, al civico 133 di corso Vittorio Emanuele II, il monumentale Palazzo Benintende trasforma un tratto di strada in passerella di pietra: il barone Filippo Benintende lo commissionò a metà Ottocento all’architetto Giuseppe Di Bartolo per farne manifesto di potere e modernità. Il prospetto in pietra locale poggia su un basamento bugnato dalle robuste bozze squadrate, aperto da un portale ad arco a tutto sesto; due ordini sovrapposti di colonne — ioniche al piano nobile e doriche al secondo — mettono in scena l’eclettismo neoclassico che andava imponendosi dopo il 1840, quando la borghesia nissena voleva competere col barocco dei Moncada e con i fasti liberty dei Testasecca.
Un capolavoro neoclassico nel cuore di Caltanissetta
All’interno, soffitti a cassettoni e saloni affrescati testimoniano l’ambizione di una dinastia che traffica zolfo e grano; i medaglioni in stucco raffigurano allegorie dell’Abbondanza e dell’Industria, mentre eleganti ringhiere in fusione di ferro delimitano la scala monumentale ellittica. L’apparato decorativo riflette la cultura cosmopolita dei Benintende: marmi di Comiso, nocciolare locali, stucchi di maestranze palermitane. Fu proprio la solidità di queste tecniche costruttive a resistere alle vibrazioni delle mine tedesche del luglio 1943; solo il prospetto ovest riportò fenditure, poi integrate nel restauro filologico completato nel 1999 grazie a un consorzio tra proprietari privati e Soprintendenza ai Beni culturali. Oggi gli antichi appartamenti ospitano studi notarili e abitazioni, ma il percorso di visita delle giornate “Vie dei Tesori” consente di ammirare la lunga infilata di stanze, la balconata in ghisa e l’originaria pavimentazione in basole di gesso proveniente dalle cave di Sabucina.
Dalla committenza Benintende all’accoglienza di Garibaldi
Il punto più alto della notorietà del palazzo arriva il 26 aprile 1862, quando Giuseppe Garibaldi — diretto a Palermo dopo il “Giorno di Marsala” commemorativo — accetta l’ospitalità del barone e pernotta nella camera d’angolo affacciata su via Re d’Italia. Le cronache locali descrivono il corteo patriottico che dal convento del Carmine accompagnò l’eroe dei due Mondi fin dentro il vestibolo, ornato per l’occasione da drappi tricolori e da un busto marmoreo di Vittorio Emanuele II scolpito dallo scultore nisseno Michele Tripisciano. L’episodio, registrato negli atti comunali e ricordato da una lapide murata nell’androne, sancì il ruolo civile del palazzo: non più esclusivo rifugio aristocratico, ma tribuna cittadina dove si discutevano questioni politiche e si firmavano contratti agricoli. Ancora oggi la lapide in marmo bianco recita «Qui sostò Garibaldi», con data e stemma Benintende, a memento della breve permanenza che saldò simbolicamente la capitale dello zolfo al nascente Regno d’Italia.