Gela. La Cassazione, nel giugno di un anno fa, dispose la condanna definitiva, a ventiquattro anni di reclusione, per il niscemese Giuseppe Cilio. Fu lui a sparare all’allora poco più che ventenne Orazio Sotti, ucciso nel garage della sua abitazione, a Fondo Iozza. Era il dicembre di ventuno anni fa, e Sotti non ebbe possibilità di salvarsi. Per gli investigatori, fu un vero e proprio agguato. La fase processuale è stata molto lunga e complessa. Secondo i pm della procura di Caltanissetta, i testimoni chiave non avrebbero detto tutto quello che sapevano. Partì un’indagine e in quattro rispondono di falsa testimonianza. Si tratta di Alfredo Nobile, che era uno degli amici più vicini a Sotti, del padre Ettore Nobile e anche di Giusi Scerra, che con la vittima ebbe una relazione, e della sorella Pamela Scerra. Le due donne sono anche ritenute responsabili di calunnia, perché durante le loro lunghe deposizioni in aula, davanti ai giudici della Corte d’assise di Caltanissetta, sostennero che i poliziotti del commissariato e quelli dell’aliquota della procura di Gela le avrebbero costrette a rendere una versione “non veritiera”. I pm nisseni hanno chiuso le indagini e potrebbero richiedere il rinvio a giudizio per i quattro imputati. Sotto indagine sono finite le dichiarazioni che resero durante il giudizio di primo grado, conclusosi con la condanna all’ergastolo di Giuseppe Cilio (poi ridotta in appello a ventiquattro anni di detenzione e confermata dalla Cassazione) e l’assoluzione del fratello, Salvatore Cilio, inizialmente accusato di aver avuto un ruolo nell’organizzare l’agguato mortale.
Secondo gli investigatori, i testimoni, ora accusati, avrebbero fornito versioni in contrasto tra loro e diverse rispetto a quelle che erano state rilasciate durante le indagini, che riaprirono il caso dell’omicidio Sotti, dopo diversi anni di silenzio, quando sembrava che non si sarebbe arrivati ad individuare i responsabili. La famiglia del giovane non smise mai di chiedere giustizia. Cilio uccise Sotti, da quanto emerso, per ragioni sentimentali. Avrebbe vendicato la relazione che la sua fidanzata di allora aveva avuto con la vittima. Gli indagati per le presunte false testimonianze sono difesi dagli avvocati Angelo Cafà, Floriana Cafà e Davide Toscani.