Gela. Ergastolo da confermare. La procura generale chiede che il verdetto di condanna, già emesso in primo grado, venga ribadito anche in appello per il niscemese Giuseppe Cilio. E’ accusato di aver ucciso l’allora ventiduenne Orazio Sotti. L’operaio venne trovato senza vita davanti al garage della sua abitazione, a Fondo Iozza. Per la procura generale, come spiegato davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, a carico dell’imputato non ci sarebbero solo elementi indiziari, ma anche prove dirette. Decisiva sarebbe stata la ritrattazione di una teste chiave, la giovane che la sera dell’omicidio, nel dicembre di diciannove anni fa, accompagnò Cilio nei pressi dell’abitazione di Sotti. Avrebbe sentito anche il rumore di alcuni spari, senza però assistere in prima persona. “Ho risolto a modo mio”, gli avrebbe poi confidato l’imputato. Ricostruzione che per l’accusa non trova smentite e che dovrebbe condurre alla conferma del verdetto di primo grado. Sotti sarebbe stato preso di mira, perché aveva avuto relazioni sentimentali con le allora fidanzate dei fratelli Cilio. Salvatore Cilio, imputato in primo grado, è stato però assolto. Sono rimaste in piedi le contestazioni mosse a Giuseppe Cilio, che per gli inquirenti sarebbe stato l’esecutore materiale. La conferma della condanna è stata chiesta dai legali di parte civile, che assistono la famiglia Sotti. Gli avvocati Giuseppe Cascino, Francesco Minardi e Maria Cascino ritengono che ad uccidere il giovane sia stato Cilio.
La famiglia si è rivelata decisiva per far riaprire le indagini, che erano state inizialmente archiviate. Venerdì, toccherà al difensore dell’imputato, l’avvocato Salvo Macrì. Il legale ha prodotto le note redatte da uno dei carabinieri che già all’epoca si occuparono dell’omicidio ed è convinto, come sostenuto in primo grado, che non ci siano elementi certi per collegare Cilio al delitto Sotti.