Novara. Un nuovo ricorso in Cassazione per il trentunenne Antonio Lembo, condannato a trent’anni di reclusione, perché indicato come killer del ventinovenne Matteo Mendola, ucciso nei boschi di Pombia, una frazione di Novara, in Piemonte. Il ricorso l’ha presentato il legale di fiducia di Lembo, l’avvocato Gabriele Pipicelli. Proprio i giudici di Cassazione avevano già annullato la decisione della Corte d’assise d’appello di Torino, ma solo sul punto delle circostanze attenuanti. Si tenne un appello bis, che confermò i trent’anni di reclusione, riconoscendo le attenuanti generiche, ma in “subvalenza”. Per la difesa, i giudici torinesi non diedero seguito al disposto della Cassazione e di conseguenza è stato riproposto un altro ricorso ai giudici romani, che torneranno a pronunciarsi. Lembo confessò l’omicidio, chiamando in causa l’imprenditore edile gelese Giuseppe Cauchi. Spiegò agli investigatori che l’ordine di uccidere sarebbe partito proprio da Cauchi, che però in primo grado è stato assolto e attende adesso la pronuncia in appello (la procura generale è tornata a chiedere l’ergastolo). Lo stesso Lembo, già in primo grado, ritrattò, nel corso di un confronto con Cauchi. Era in programma il suo esame in appello ma ha spiegato ai giudici torinesi di non sentirsi al sicuro, neanche in carcere. Avrebbe ricevuto missive minatorie. Di recente, è sato trasferito in un’altra struttura detentiva.
Per gli investigatori, Mendola (a sua volta di origine gelese ma trapiantato con la famiglia in provincia di Varese) venne ucciso per contrasti, forse sorti nel mondo della criminalità, anche se non è mai stata esclusa la pista di un credito reclamato dalla vittima. Cauchi ha sempre spiegato di non aver mai avuto ragioni per ordinare l’omicidio. Lembo invece lo tirò in ballo come mandante. Per quanto accaduto, la condanna a trent’anni è stata imposta anche ad Angelo Mancino. Questa decisione è ormai diventata definitiva.