Gela. Un anno fa, la Corte d’assise d’appello di Torino, ribaltando la prima pronuncia dei giudici di Novara (che avevano emesso l’assoluzione), condannò a ventisei anni di reclusione l’imprenditore edile gelese Giuseppe Cauchi. Lo ritenne mandante dell’omicidio del trentatreenne Matteo Mendola. A maggio, sarà trattato il ricorso avanzato dai difensori dell’imputato, gli avvocati Flavio Sinatra e Cosimo Palumbo. E’ stata fissata l’udienza in Cassazione. Il corpo del giovane, a sua volta di famiglia gelese, venne ritrovato tra i boschi di Pombia, una frazione del novarese. Era in un capannone abbandonato. I killer, Antonio Lembo (per lui l’entità della pena è stata confermata anche dal giudizio bis in Cassazione) e Angelo Mancino, sono stati condannati a trent’anni di detenzione, in via definitiva. Secondo gli inquirenti, Mendola venne portato in quella zona isolata solo per essere finito. Ci sarebbero state ragioni economiche dietro al delitto. Non è mai stata abbandonata neanche la pista di un eventuale regolamento di conti nel contesto della criminalità dell’hinterland lombardo. Sia Cauchi che Mendola vivevano nella zona di Busto Arsizio. L’imprenditore gelese ha sempre respinto le pesanti accuse. Ha escluso di aver mai avuto ragioni di astio nei confronti di Mendola. Per gli inquirenti, la vittima avrebbe più volte chiesto denaro per un credito che pare un suo familiare vantasse nei confronti di Cauchi. Le difese, in primo e in secondo grado, hanno proposto una serie di elementi che escluderebbero un coinvolgimento del gelese. Fu Lembo, già in fase di indagine, a tirare in ballo l’imprenditore. Dichiarazioni che poi ritrattò nel corso del giudizio.
Anche su questi aspetti i legali di difesa hanno molto insistito. Mendola fu raggiunto da colpi di arma da fuoco e alla fine i killer lo finirono con una vecchia batteria da auto, fracassandogli il cranio. I familiari del trentatreenne ucciso, come parti civili, hanno seguito tutti i procedimenti partiti a seguito dell’omicidio. I loro legali hanno insistito per la condanna. In appello, la procura generale aveva concluso chiedendo l’ergastolo per Cauchi. Sarà la Cassazione a pronunciarsi sul ricorso.