Gela. Ha parlato per diverse ore, rilasciando dichiarazioni spontanee, e continuerà a farlo anche nel corso della prossima udienza. Cataldo Terminio ha respinto, davanti ai giudici della Corte d’assise d’appello di Caltanissetta, l’accusa di aver partecipato all’agguato che trentacinque anni fa costò la vita a Giuseppe Failla, freddato a colpi di arma da fuoco all’interno del suo bar, in centro storico. In primo grado, ci fu la pronuncia dell’ergastolo per lo stesso Terminio e inoltre per il boss Giuseppe Madonia e per Angelo Palermo. Trent’anni di detenzione, invece, furono imposti ad Angelo Bruno Greco. Per l’antimafia nissena, sarebbe stato Terminio a chiedere il benestare agli allora vertici di Cosa nostra provinciale. Secondo gli inquirenti, voleva vendicare la morte del padre, ucciso in un agguato nell’ambito della faida con i Cerruto. Failla era considerato un amico dei Cerruto e così il commando entrò in azione in città. Terminio ha inoltre respinto la ricostruzione fornita dai collaboratori di giustizia e ha spiegato che soprattutto Leonardo Messina l’avrebbe tirato in ballo per screditarlo. L’imputato non ha ancora concluso di rilasciare dichiarazioni e si proseguirà ad inizio dicembre, sempre in Corte d’assise d’appello.
I collaboratori di giustizia che fornirono elementi agli inquirenti per ricostruire il delitto, non hanno collocato il titolare del bar in un contesto di mafia. I familiari sono parti civili, assistiti dal legale Giovanni Bruscia. In primo grado, gli è stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni. Gli imputati, invece, sono rappresentati dagli avvocati Flavio Sinatra, Sergio Iacona, Cristina Alfieri, Eliana Zecca e Paolo Piazza. Nessuno dei coinvolti ha mai ammesso di aver preso parte all’agguato o di aver pianificato la strategia per uccidere.