Gela. Un esproprio risalente a sedici anni fa e una nuova condanna che cade sulle teste dei funzionari di Palazzo di Città. Questa volta, i giudici del tribunale amministrativo di Palermo hanno detto sì al ricorso presentato da un’intera famiglia, proprietaria di un vasto terreno
da quasi ventimila metri quadrati, finito al centro di un’attività d’esproprio autorizzata dagli uffici municipali nell’ambito di lavori di urbanizzazione primaria.
Peccato, però, che a distanza di anni nessun decreto d’esproprio sia mai stato emesso e, di conseguenza, le opere siano state realizzate su un’area ancora formalmente nella disponibilità degli originari proprietari.
Così, ritenendosi danneggiati, hanno tentato la carta del tar. Il loro legale di fiducia, l’avvocato Riccardo Lana, è riuscito ad ottenere una sentenza favorevole che mette in luce tutte le responsabilità amministrative del caso.
“La realizzazione di un intervento pubblico su un fondo illegittimamente occupato costituisce – scrivono i magistrati palermitani – un mero fatto, non idoneo a determinare il trasferimento della proprietà che può conseguire solo da un formale atto di acquisizione dell’amministrazione e non anche da atti o comportamenti anche di tipo rinunziativo o abdicativo”.
Data l’impossibilità di restituire agli stessi titolari un fondo oramai radicalmente mutato, i giudici tracciano la linea che l’ente comunale dovrebbe seguire. “Qualora decida per l’acquisizione – concludono – dovrà liquidare in favore dei ricorrenti il valore venale del bene al momento dell’emanazione del provvedimento, aumentato del 10% a titolo di forfettario ristoro del pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale arrecato, nonchè il 5% del valore che l’immobile aveva in ogni anno successivo alla scadenza della occupazione legittima a titolo di occupazione sine titulo, detratto, ovviamente, quanto già corrisposto a vario titolo ai ricorrenti, subordinando, come per legge, l’effetto traslativo all’effettivo pagamento delle somme”. Quindi, altro esproprio altra condanna.