“Non deve restituire il finanziamento al Ministero”, Cga dà ragione ad azienda locale

 
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Gela. La presunta mancata trasmissione della documentazione di spesa, rilevata a seguito di verifiche, avrebbe potuto costringere un’azienda locale, impegnata anche nel settore della vendita di ceramiche, a restituire oltre 300 mila euro. Somme concesse dal Ministero dello sviluppo economico, praticamente più di venti anni fa. I giudici del Cga hanno però ribaltato la decisone del Tar Palermo, accogliendo le richieste dei legali dell’azienda. Il finanziamento fu usato dagli imprenditori per coprire una parte delle spese necessarie a realizzare una struttura, che all’epoca venne destinata ad esposizione e comunque per finalità commerciali. L’immobile fu costruito a ridosso di via Venezia. Per il Ministero e per la società che si occupò della fase istruttoria, ci sarebbero state delle omissioni nella documentazione da trasmettere, mancando appunto quella di spesa. I legali dell’azienda, però, hanno sostenuto che gli atti furono tutti trasmessi, entro le scadenze previste. Agli imprenditori giunse un provvedimento ufficiale di revoca del finanziamento, con obbligo di restituire le somme ottenute, nonostante i lavori fossero stati conclusi, entro i termini previsti. Il Tar Palermo diede ragione al ministero, che non si è costituito nel giudizio al Cga. Con il nuovo “capitolo” giudiziario, la decisione del Tar è stata del tutto rivista. I magistrati del Consiglio di giustizia, infatti, hanno ritenuto “assorbente”, su ogni altra questione, il punto della maturata prescrizione. Il tempo trascorso, così come è riportato nelle motivazioni della sentenza, di fatto esclude ogni pretesa ministeriale, del resto concretizzatasi a distanza di circa sedici anni dalla concessione del finanziamento. I giudici spiegano che anche in questo caso vige una prescrizione decennale, che è stata comunque superata.

“Il principio della ragionevole durata del procedimento amministrativo – che assume esiziale importanza per i procedimenti di controllo, sanzionatori o disciplinari ed ablatori – costituisce, del resto, un corollario del cosiddetto “principio della certezza del diritto”, essendo evidente che l’eccessiva dilatazione temporale del procedimento determina una intollerabile situazione di incertezza giuridica destinata ad incidere sulle scelte di vita delle persone e sui traffici commerciali, producendo un danno all’intera collettività”, si legge nelle motivazioni. “Dalla data della concessione del contributo (avvenuta con d.m. n. 107688 del 10 dicembre 2001) alla data in cui l’amministrazione ha comunicato l’avvio del procedimento di revoca (25 settembre 2017) sono trascorsi ben più di dieci anni”, spiegano i giudici amministrativi. La conclusione è inevitabile, “considerato, dunque, che la “revoca” per cui è causa è sopraggiunta oltre l’ordinario termine di prescrizione per il recupero del cosiddetto indebito oggettivo (dieci anni) e comunque oltre ogni ragionevole durata del procedimento di controllo, non resta che considerarla illegittima e passibile di annullamento”, precisano nella sentenza.

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