Gela. L’associazione temporanea di imprese venne esclusa nell’ottobre di otto anni fa. L’interdittiva antimafia emessa solo per una delle aziende dell’Ati. Decisione ribadita con una delibera di giunta nel dicembre dello stesso anno. Per l’allora sindaco Rosario Crocetta, la mafia voleva mettere le mani sull’appalto per la ristrutturazione del teatro Eschilo, successivamente completata. Adesso, invece, i giudici del Tribunale amministrativo di Palermo hanno riconosciuto alle aziende escluse il diritto al risarcimento del danno, bocciando la decisione assunta dall’ex sindaco, oggi presidente della Regione, e dai funzionari del settore sviluppo economico del municipio. Il Comune, così, dovrà pagare un ammontare pari al cinque percento dell’importo a base d’asta, oltre ad un ulteriore un percento legato al “danno curriculare”, ovvero all’impossibilità per le aziende escluse di effettuare lavori che gli avrebbero consentito di acquisire ulteriore esperienza nel settore. A tutto questo bisognerà aggiungere gli interessi maturati. La decisione di estromettere tutte le aziende che facevano parte dell’associazione temporanea di imprese che si era aggiudicata l’appalto, da circa quattro milioni di euro, è stata del tutto bocciata dai giudici palermitani, ai quali si sono rivolti i legali delle società. L’informativa antimafia che accertava il rischio di infiltrazioni mafiose, all’epoca, venne rilasciata dalla prefettura di Catania solo in relazione ad una delle società mandanti. Gli altri imprenditori, a loro volta confluiti nell’associazione temporanea aggiudicataria dell’appalto, già prima di concludere il contratto avevano proposto di sostituire il gruppo al centro delle indagini antimafia. Un’ipotesi che, però, venne scartata dai funzionari del Comune, tanto da spingerli a revocare l’appalto, tagliando fuori tutte le aziende del raggruppamento.
La decisione dei giudici del Tar. Una decisione che, stando alla sentenza emessa dai giudici del Tar Palermo, viola anche il contenuto del codice antimafia. “Osserva il collegio che la causa può essere decisa sulla base della costante giurisprudenza formatasi sul punto controverso – si legge nella sentenza – con cui si è affermata l’illegittimità del provvedimento con il quale un Comune revochi in autotutela, nei confronti di un’Ati, l’aggiudicazione di una gara di appalto, motivato con riferimento al fatto che la mandante è stata destinataria di una informativa interdittiva antimafia, nel caso in cui l’impresa mandataria della medesima Ati abbia tempestivamente e formalmente comunicato alla stazione appaltante di volersi avvalere della facoltà che consente alla mandataria, nei casi previsti dalla normativa antimafia, di eseguire i lavori facenti capo alla mandante estromessa anche indicando altra impresa”. I giudici ribadiscono la loro posizione, scrivendo che “tale norma si occupa della specifica ipotesi in cui la perdita di capacità ad assumere la qualità di contraente con la pubblica amministrazione ricada su imprese, diverse dalla mandataria, che operino in associazione, raggruppamento temporaneo o facciano parte di consorzio non obbligatorio. In tal caso la misura interdittiva non si estende all’intero raggruppamento ove si dia luogo, all’estromissione o sostituzione dell’impresa interdetta con le modalità indicate dalla norma regolamentare”. Adesso, salvo eventuali impugnazioni da parte dei legali del Comune, comunque costituito in giudizio, bisognerà procedere a pagare il risarcimento riconosciuto agli imprenditori.