Nascosta nella contrada Imera: la storia poco conosciuta del complesso estrattivo dell'industria solfifera siciliana

Solfara Testasecca (contrada Imera): miniera dimenticata, rotaie, gallerie profonde e il misterioso cimitero dei carusi.

A cura di Redazione
17 agosto 2025 15:00
Nascosta nella contrada Imera: la storia poco conosciuta del complesso estrattivo dell'industria solfifera siciliana - Foto: OppidumNissenae/Wikipedia
Foto: OppidumNissenae/Wikipedia
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Nascosta nella contrada Imera, lungo la Valle dell’Imera meridionale in provincia di Caltanissetta, sorge la poco nota Solfara Testasecca. Parte integrante del Bacino minerario della Valle dell'Imera, questo complesso estrattivo testimonia l’era gloriosa (e tragica) dell’industria solfifera siciliana: esempi di tecniche ottocentesche, gallerie profonde, e un legame diretto con linee ferroviarie dedicate.

Storia e struttura della Solfara

Attiva già agli inizi del XIX secolo e funzionante fino agli anni del secondo dopoguerra, la Solfara Testasecca fu tra le nove solfare principali collegate da infrastrutture e appoggiata dal vicino affioramento solfifero della Valle dell'Imera, insieme a Gessolungo, Trabonella e altre miniere affini.
Nel cuore della valle, questa solfara era servita dalla linea a scartamento ridotto che collegava le miniere alla stazione di Imera (inaugurata nel 1876), permettendo il trasporto diretto dello zolfo verso i porti e le industrie esterne.
Le gallerie scavate in profondità fornivano un profilo completo dei banchi minerari: strati gessoso-solfiferi con potenza tra i 20 e 30 m, un campione geologico unico e altamente produttivo.

Il contesto economico-sociale e il declino

La contrada Imera, fino alla metà del '900, fu un crocevia di tecnica mineraria: la Solfara Testasecca, di proprietà nobiliari, dava lavoro a decine di minatori (tra cui i “carusi”), inserendosi in una rete già complessa di gabelloti e appalti – modalità estrattive che portarono a sfruttamento e condizioni disumane nei pozzi.
Il declino avvenne progressivamente: primi segni già negli anni Cinquanta, con chiusura definitiva negli anni Sessanta-Settanta, quando il bacino minerario intero entrò in crisi e molte solfare furono dismesse per legge regionale nel 1975.

Oggi la solfara è visibile solo dall’esterno: resti di calcaroni, imbocchi parzialmente crollati, e qualche tratto di rotaia arrugginita. Una memoria geologica che rischia di svanire tra erbe e abbandono.

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