Gela. Gianfranco Romano, operaio dell’indotto Eni dipendente della Cosmi Sud, morì all’isola 6 della fabbrica Eni nel novembre di quattro anni fa. Venti davanti al gup. Adesso, la moglie, le due figlie e i familiari sono parti civili. Il via libera definitivo è arrivato dal giudice dell’udienza preliminare Paolo Fiore, davanti al quale si sono presentati i legali dei venti indagati. Tra le accuse mosse, quelle legate alla mancata applicazione delle norme in materia di sicurezza. Romano venne travolto da tubi da ventiquattro metri, accatastati nei pressi della radice pontile della fabbrica di contrada Piana del Signore. L’operaio e diversi colleghi erano impegnati in lavori di miglioramento della linea P2. Le accuse dei magistrati della procura, così, si concentrano soprattutto sui vertici della Cosmi Sud, azienda per la quale lavorava Romano, della Pec srl, società titolare dell’appalto assegnato da raffineria Eni, della Sertec, società toscana che si occupa di monitorare la sicurezza in fabbrica, e della stessa Raffineria di Gela spa. Intanto, alcuni difensori hanno sollevato le prime eccezioni legate a mancate notifiche. Così, la posizione di tre indagati è stata stralciata. Eccezioni sono state mosse dalle difese anche in relazione agli approfondimenti tecnici commissionati dai pm della procura dopo il deposito della perizia che ha permesso di ricostruire le condizioni e lo stato di tenuta dell’area diventata teatro dell’incidente mortale. Il giudice Fiore si pronuncerà alla prossima udienza, già fissata per ottobre. In quell’occasione, dovrebbero arrivare anche le richieste dei magistrati della procura. Intanto, i legali di parte civile, gli avvocati Salvo Macrì, Joseph Donegani ed Emanuele Maganuco, dopo aver ottenuto l’ammissione delle loro richieste, attendono proprio le mosse dei magistrati della procura.
Scarsa sicurezza e poca manutenzione nella zona dell’incidente mortale. Davanti al gup, a rispondere alle accuse, ci sono Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Fabrizio Lami, Mario Giandomenico, Angelo Pennisi, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Guerino Valenti, Rocco Fisci, Salvatore Marotta, Serafino Tuccio e Vincenzo Cocchiara. A questi si aggiungono le società Cosmi Sud, Pec, Sertec e Raffineria di Gela. Stando alle accuse, l’area di cantiere non sarebbe stata idonea alle attività svolte dagli operai impegnati. Inoltre, sarebbero mancati i controlli sulla catasta di tubi collocata nei pressi della radice pontile e ferma lì da circa sei anni. Manutenzione dell’area inesistente e, addirittura, dati tecnici appositamente modificati per consentire la rapida conclusione dei lavori. Sarebbe questo lo scenario, almeno secondo i magistrati della procura, che avrebbe condotto all’incidente mortale.