Gela. Ci sarebbero state responsabilità per la morte di un operaio che lavorò alle dipendenze dell’azienda Smim. Per anni, la società svolse attività sul territorio e nell’indotto di Eni. L’accusa di omicidio colposo è mossa all’ex proprietario, Giancarlo Barbieri. Secondo la procura e gli investigatori, non vennero adottate le misure necessarie per evitare l’esposizione del lavoratore alle fibre di amianto. Morì per le conseguenze di una grave patologia, secondo l’accusa legata all’incidenza delle polveri pericolose. Questa mattina, davanti al giudice Miriam D’Amore, è stato aperto il dibattimento. Preliminarmente, il legale di Raffineria Eni, l’avvocato Carlo Autru Ryolo, ha chiesto l’estromissione dell’azienda, chiamata in giudizio come responsabile civile, visto che Smim per un lungo lasso di tempo si è mossa negli appalti del sito industriale della multinazionale. Secondo il legale, non ci sarebbero collegamenti tra la vicenda del lavoratore poi morto e il ruolo di Raffineria. Il giudice ha accolto, estromettendo la società “per carenza di legittimazione passiva”.
Era stato il legale di parte civile, l’avvocato Davide Ancona, che rappresenta i familiari del lavoratore morto e l’associazione Ona, a chiedere l’intervento nel giudizio proprio di Raffineria. Il dibattimento si è aperto nei confronti di Barbieri, difeso dall’avvocato Flavio Sinatra. I primi testimoni, principalmente consulenti tecnici, saranno sentiti il prossimo febbraio.