Gela. La procura generale, questa mattina in Corte d’appello, ha chiesto la conferma delle condanne già emesse in primo grado nella vicenda della tragica fine dell’operaio trentenne Francesco Romano. Undici anni fa venne travolto da un tubo da otto tonnellate, alla radice pontile della raffineria. Per lui, non ci fu nulla da fare. Altri operai presenti riuscirono ad evitare conseguenze. Già nel complesso procedimento di primo grado, l’accusa concluse per l’assenza di misure di precauzione in un cantiere che venne ritenuto non sicuro. Le condanne sono state impugnate dalle difese. Per la procura generale vanno comunque confermate. Inoltre, è stato chiesto l’accoglimento dell’appello per le posizioni degli imputati che vennero assolti. Al termine del giudizio davanti al tribunale di Gela, fu deciso un anno e otto mesi per Bernardo Casa, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Rocco Fisci e Serafino Tuccio. Un anno e sei mesi per Mario Giandomenico, Angelo Pennisi e Vincenzo Cocchiara. Infine, un anno e quattro mesi a Salvatore Marotta. Tutte pronunce con pena sospesa. Le uniche assoluzioni furono emesse per le posizioni di Guerino Valenti, Fabrizio Lami e Ignazio Vassallo.
Le difese, che interverranno nel corso delle prossime udienze, escludono che possa esserci stato un nesso tra l’accaduto e il ruolo degli imputati, che sono manager di Eni, responsabili delle società di controllo e anche di quella dell’indotto per la quale lavorava Romano, la Cosmi Sud. Alle aziende, in relazione alle responsabilità amministrative, in primo grado fu imposto il pagamento di trecento quote (da 500 euro). Decisione che tocca Eni, Cosmi Sud, Pec srl e Sg Sertec. I familiari dell’operaio morto sono usciti dal procedimento, a seguito di un accordo transattivo. Rimane invece la costituzione di parte civile della moglie, anche nell’interesse delle figlie (è rappresentata dall’avvocato Salvo Macrì che concluderà nel corso della prossima udienza).