"Mondo opposto", in aula ufficiale dei carabinieri: lungo esame per ripercorrere l'inchiesta antimafia
L'ufficiale dei carabinieri ha ripercorso buona parte degli sviluppi d'inchiesta
Gela. La Dda di Caltanissetta e i carabinieri risalirono alle nuove basi organizzative del mandamento di Cosa nostra, concentrate a Niscemi e legami con Gela e con altri centri del territorio. Un'attività investigativa che venne delineata attraverso l'inchiesta “Mondo opposto”. In abbreviato, davanti al gup del tribunale di Caltanissetta, ci sono state pesanti condanne, comprese quelle imposte ai fratelli Alberto Musto e Sergio Musto, considerati a capo del gruppo di mafia. Innanzi al collegio penale del tribunale di Gela, presieduto dal giudice Francesca Pulvirenti, è in corso invece il dibattimento per altri imputati, coinvolti nell'inchiesta. Rispondono alle contestazioni il gelese Emanuele Burgio, il carabiniere niscemese Giuseppe Carbone, i mazzarinesi Alessandro Fausciana, Gaetano Fausciana e Salvatore Fausciana, il poliziotto in pensione niscemese Salvatore Giugno e inoltre Antonino Pittalà e Salvatore Pittalà. In udienza, ha parlato per ore uno dei carabinieri che si occupò in maniera capillare dell'indagine, tutta focalizzata intorno alle mosse dei Musto e di chi li avrebbe sostenuti. Armi ed estorsioni sono tra i punti dell'attività condotta dagli investigatori, convinti inoltre che i vertici dell'organizzazione volessero uccidere un esercente antiracket. L'ufficiale dei carabinieri ha ripercorso buona parte degli sviluppi d'inchiesta, valutando pure aspetti collegati al controllo delle campagne. Ha risposto alle domande di pm e difensori. I gelesi avrebbero messo a disposizione armi. Nel procedimento, già in udienza preliminare, si sono costituiti parti civili, il Comune di Niscemi (con il legale Paolo Testa), i Ministeri dell’interno e della difesa, tramite l’Avvocatura dello Stato (con il legale Giuseppe Laspina), la Federazione antiracket Fai e chi avrebbe subito pressioni, minacce e danneggiamenti. Tra i legali di parte civile, gli avvocati Giuseppe D’Alessandro e Mario Ceraolo. Secondo i pm della Dda, i capi avrebbero usufruito di informazioni che pare arrivassero in gran parte dal poliziotto in pensione Salvatore Giugno. Un contatto ci sarebbe stato pure con il carabiniere Giuseppe Carbone. Passaggi richiamati durante l'esame del testimone. Stando agli inquirenti, il gruppo di mafia puntava a controllare attività economiche senza trascurare eventuali ritorsioni a danno di chi si opponeva. Gli imputati, nel procedimento ordinario, sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Flavio Sinatra, Danilo Tipo, Antonino Ficarra e Agata Maira.
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