Mogli e figli eseguivano gli ordini dal carcere di Liardo e Crisafulli, ecco come avveniva

 
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Gela. Anche dal carcere Nicola Liardo sarebbe riuscito a gestire gli “affari di famiglia”: droga e racket.

Sette le misure cautelari emesse dai carabinieri del Comando Provinciale di Caltanissetta, a Gela, Catania, Palermo e Agrigento nell’ambito dell’inchiesta “donne d’onore”.

Servendosi di moglie, figli e genero, Liardo impartiva ordini e gestiva tutto. Ordinanza di custodia cautelare per Nicola Liardo, 43 anni, Salvatore Crisafulli, 39 anni, Giuseppe Liardo, 20 anni, Salvatore Tony Raniolo, 27 anni, Monia Greco (moglie di Liardo), 40 anni, Maria Teresa Chiaramonte, 43 anni, Dorotea Liardo, 22 anni. Contestati i reati di associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti, estorsione e danneggiamento con colpi di arma da fuoco.

Le indagini

Sono partite nell’ottobre 2015 a seguito di alcuni danneggiamenti con colpi di arma da fuoco ad imprenditori locali. I carabinieri, coordinati dalla Dda di Caltanissetta, hanno inoltre accertato attività di spaccio. La droga veniva acquistata a Catania. Ricostruite estorsioni e danneggiamenti compiuti con armi da fuoco tra cui i due episodi accaduti  la notte del 22 ottobre 2015 all’indirizzo dell’abitazione di Malvin Bodinaku e Carlo Cavaleri per debiti legati allo spaccio di stupefacenti, entrambe effettuate con fucile da caccia.

La famiglia Liardo

Nicola Liardo, già appartenente al clan Emmanuello, impegnato nel traffico di droga a partire dagli anni ’90, d’accordo col suo ex compagno di cella Crisafulli, impartiva le disposizioni alla famiglia direttamente dal carcere dove è tuttora detenuto.

Mogli e figli coinvolti

Le mogli di Liardo e Crisafulli, rispettivamente Monia Greco e Mary Chiaramonte, intrattenevano i contatti con gli acquirenti e organizzano le trasferte per fare carico della droga. Giuseppe Liardo, ricevute le disposizioni dalla madre, andava a Catania per acquistare cocaina dalla compagna di Crisafulli e, successivamente, la reimmetteva nel mercato gelese avvalendosi di altri spacciatori tra cui Raniolo.

Il pizzo e l’assunzione del figlio del boss

Due sono state le estorsioni ai danni di imprenditori locali accertate, uno dei quali era stato costretto ad assumere fittiziamente il figlio del boss pagandone anche i contributi. È stata anche accertata la disponibilità di Giuseppe Liardo di un’arma da sparo con cui operava le minacce e i danneggiamenti.

 

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