Gela. “Non sono stati loro ad ucciderlo”. I difensori del sessantenne gelese Vincenzo Morso e del figlio, il trentacinquenne Guido, l’hanno ribadito nelle loro conclusioni, davanti ai giudici della Corte d’assise di Genova. Sono accusati dell’omicidio di Davide Di Maria, un ventottenne trovato morto in un appartamento della zona di Molassana, proprio a Genova. Il pm Alberto Landolfi, dopo aver esteso l’accusa di omicidio anche a Vincenzo Morso, ha chiesto la condanna per entrambi a diciannove anni di reclusione ciascuno. Le difese, invece, escludono che nella colluttazione, scoppiata in quell’appartamento, i Morso abbiano colpito Di Maria. Il giovane morì a causa delle conseguenze di una ferita da taglio. I familiari sono parti civili. Per il pm, padre e figlio si sarebbero recati all’appuntamento già armati e Vincenzo Morso, da anni ritenuto referente di cosa nostra gelese a Genova, appena arrivato sul posto avrebbe iniziato a fare fuoco.
L’omicidio. In quell’appartamento, stando alla ricostruzione dell’accusa, ci sarebbe stato un vero e proprio regolamento di conti. La condanna, ad otto anni e quattro mesi di reclusione, invece, è stata chiesta per un altro imputato Marco N’Diaye, accusato solo di spaccio di droga e del possesso di una pistola. I Morso non volevano perdere le piazze di spaccio, forse contese dal gruppo di N’Diaye e Di Maria. Hanno sempre sostenuto di aver sparato ma di non aver accoltellato Di Maria, che invece stramazzò a terra, ormai privo di vita, proprio a causa di un fendente, sferrato con una lama, mai ritrovata. Il pm ha confermato la richiesta di condanna e il verdetto dovrebbe arrivare a fine maggio.