Brescia. La camera di consiglio, prima della lettura del dispositivo, è durata circa sei ore. Nel tardo pomeriggio di oggi, i giudici del collegio penale del tribunale di Brescia hanno disposto undici condanne e cinque assoluzioni, per gli imputati coinvolti nella maxi inchiesta “Leonessa”. Il collegio bresciano ha escluso l’esistenza di un’organizzazione mafiosa, che per la Dda era attiva in Lombardia e non solo. Il gruppo individuato dagli inquirenti è stato delineato, dai giudici, con le caratteristiche di un’associazione dedita alle truffe all’erario, con centinaia di contestazioni per frodi, quasi tutte concentrate sulle indebite compensazioni fiscali. La pena più pesante è stata imposta al consulente Rosario Marchese, condannato a sedici anni e un mese di reclusione. Per i pm della Dda di Brescia, sarebbe stato lui la mente del sistema milionario delle compensazioni illecite, riuscendo ad avere centinaia di clienti, soprattutto imprenditori, e professionisti compiacenti, che sono stati toccati dall’inchiesta. Marchese, difeso dai legali Giampiero Verrengia e Valentina Aragona, nel corso della complessa istruttoria dibattimentale ha ammesso di essere dietro a gran parte delle frodi all’erario ma ha sempre negato di far parte dei clan di mafia. Il pm Paolo Savio, che condusse l’inchiesta, ha invece sostenuto che gli stiddari erano stati capaci di ramificare la loro azione criminale in Lombardia, sfruttando gli ingenti introiti delle frodi tributarie. Sette anni e otto mesi di reclusione sono stati decisi per Angelo Fiorisi, un altro imputato sul quale si accesero le attenzioni dell’antimafia bresciana. Per lui, difeso dai legali Flavio Sinatra e Desolina Farris, l’assoluzione è arrivata per dieci capi di imputazione e i giudici hanno escluso il ruolo di capo, che gli veniva addebitato dalla Dda. Il collegio ha inoltre disposto la scarcerazione. Fiorisi era detenuto proprio per i fatti del blitz “Leonessa”. Sette anni e quattro mesi di detenzione sono stati imposti alla professionista Antonella Balocco (difesa dagli avvocati Gianluca Marta e Oliviero Mazza). Per l’accusa, avrebbe avuto un ruolo nel sistema delle compensazioni e delle truffe tributarie. E’ stata assolta, invece, per altri sette capi di imputazione. Sette anni di detenzione ad un altro professionista, Corrado Savoia (assistito dai legali Deborah Abate Zaro e Oliviero Mazza), assolto per gli ulteriori sette capi di accusa. Quattro anni e otto mesi di detenzione è l’entità della pena imposta a Gianfranco Casassa (rappresentato dal legale Vito Felici). E’ stato invece assolto per quattro contestazioni. Quattro anni e sette mesi sono stati decisi nei confronti di Simone Di Simone, difeso dal legale Davide Limoncello. Per un altro capo di imputazione è stato invece assolto. Quattro anni e sei mesi per Giovanni Interlicchia (difeso dal legale Sinuhe Curcuraci), che è stato assolto per due capi d’accusa. Quattro anni sono stati decisi per la posizione di Giuseppe Arabia (assistito dal legale Mauro Sgotto), assolto invece per altri sei capi di imputazione. Due anni di reclusione, ciascuno, per Enrico Zumbo (difeso dai legali Domenico Peila e Maurizio Basile) e Alessandro Scilio (assistito dall’avvocato Roberta Castorina e assolto per un altro capo che gli veniva attribuito). Infine, un anno e otto mesi di detenzione è la pena imposta a Carmelo Giannone (difeso dall’avvocato Lara Amata e assolto per ulteriori due capi di accusa). I giudici bresciani hanno completamente assolto, con tutte le accuse cadute, Salvatore Antonuccio e Giuseppe Cammalleri (difesi dall’avvocato Giovanna Zappulla), Danilo Cassisi (assistito dal legale Giacomo Ventura), Matteo Collura (rappresentato dall’avvocato Angelo Cafà) e l’avvocato Roberto Golda Perini (assistito dal legale Stefano Bazzani). Anche nei loro confronti il pm Savio aveva chiesto la condanna, così come per gli altri imputati. Il collegio bresciano, sulla base dell’esito della decisione, ha disposto la revoca delle misure restrittive, ancora in corso, per Salvatore Antonuccio, Alessandro Scilio e Giuseppe Arabia.
Allo stesso tempo, riconoscendo gli illeciti tributari, ha anche deciso per una maxi confisca di beni e disponibilità economiche, a danno degli imputati condannati per le indebite compensazioni. L’inchiesta “Leonessa” si concentrò sui flussi delle operazioni tributarie sospette e fece emergere l’esistenza di un gruppo in grado di alleggerire il peso fiscale di centinaia di aziende, imprenditori e professionisti, in cambio di laute consulenze e di percentuali. Per i giudici, come è risultato al termine del dibattimento di primo grado, non c’era la stidda dietro all’affare delle compensazioni. Davanti ai magistrati bresciani pendono altri due procedimenti scaturiti dalla stessa indagine.