Brescia. Sono diversi i filoni processuali partiti dalla maxi inchiesta “Leonessa”, coordinata dai magistrati dell’antimafia di Brescia. Gli investigatori individuarono un presunto nucleo della stidda gelese, che avrebbe fatto affari con il sistema delle compensazioni indebite, gestito dal consulente Rosario Marchese, a sua volta coinvolto nell’indagine. E’ in corso il dibattimento di primo grado, davanti al collegio penale del tribunale bresciano. Ad aprile, in aula arriva un’ulteriore costola del giudizio, sempre davanti al collegio di Brescia. Per il prossimo maggio, invece, è stato fissato il giudizio di appello per altri coinvolti, lo scorso anno giudicati dal gup lombardo, con il rito abbreviato. La decisione emessa nei loro confronti si è rivelata molto importante, forse anche inaspettatamente. Il gup Riccardo Moreschi ha escluso l’associazione mafiosa, pur confermando le truffe all’erario e alcune estorsioni. Contestazioni, queste ultime, per il magistrato non contornate dal peso mafioso. Una linea condivisa dai legali degli imputati, che nel corso del giudizio abbreviato hanno del tutto respinto l’accusa fondata sull’esistenza di un nucleo mafioso, con base nella zona del bresciano. Gli imprenditori che ottennero consulenze dai gelesi per arrivare alle compensazioni indebite, come spiegato dalle difese, non sarebbero stati vittime di minacce, ma anzi avrebbero spontaneamente cercato un contatto, con l’obiettivo di sanare pendenze con il fisco di notevole entità. La pena più alta, a cinque anni e otto mesi di reclusione, in primo grado è stata imposta a Roberto Raniolo, considerato molto vicino a Marchese.
Sono cadute due accuse di estorsione oltre a quella di essere uno dei capi dell’organizzazione. Condanne sono state pronunciate per Francesco Scopece, Salvatore Sambito, Luca Verza, Giuseppe Tallarita e Giuseppe Nastasi. I legali di difesa (tra questi gli avvocati Roberto Tegon e Rocco Guarnaccia) hanno presentato ricorso in appello ma anche la procura ha impugnato, ritenendo invece del tutto provata l’appartenenza dei coinvolti ad un sodalizio di mafia. A maggio, saranno i giudici bresciani di secondo grado ad esprimersi.