Milano. Il “consorzio” delle mafie che avrebbe controllato attività economiche di vari settori, soprattutto nell’area dell’hinterland milanese, pare si finanziasse proprio con gli introiti di investimenti economici e con la gestione di affari illeciti. Ne sono convinti i pm della Dda di Milano anche se il gip non ha riconosciuto l’esistenza di una vera e propria aggregazione tra pezzi di ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra. In settimana, solo due indagati, detenuti così come gli altri nove raggiunti da misura restrittiva, hanno parlato davanti al gip. I gelesi Rosario Bonvissuto e Dario Nicastro, storicamente presenti nella zona milanese e del varesotto, si sono difesi. Nicastro avrebbe escluso l’esistenza di una “confederazione” mafiosa. Per gli inquirenti, però, i gelesi sarebbero stati molto vicini ai calabresi di Massimo Rosi, ritenuto l’erede di Vincenzo Rispoli, attualmente detenuto al 41 bis. Nell’inchiesta, la custodia cautelare in carcere è stata imposta anche all’altro gelese, Francesco Nicastro (fratello di Dario Nicastro). I Nicastro sono stati spesso posti dagli inquirenti nell’organigramma criminale dei Rinzivillo, presenti nel nord Italia. Un tramite con i calabresi, secondo l’antimafia meneghina, era da riscontrarsi in Rosario Bonvissuto. Sarebbero stati confermati i suoi contatti con i calabresi di Legnano e Lonate. Due anni fa, le fiamme distrussero il bar “Fermata 36”, considerato un’attività dei Nicastro. Anche i gelesi avrebbero avuto un ruolo nella riorganizzazione mafiosa di quell’area, prendendo parte ai presunti summit che venivano organizzati. Le organizzazioni unite avrebbero avuto una cassa comune, la “bacinella”, dove pare confluissero i soldi destinati anche ai detenuti. Gli altri indagati hanno optato per la facoltà di non rispondere, davanti al gip milanese.
La Dda inoltre ha avanzato ricorso al riesame per ribaltare le decisioni proprio del gip e ottenere l’arresto di altre settantanove persone. Il riesame dovrebbe esprimersi non prima dell’inizio del prossimo anno.