Gela. “Almeno fino al 1993, lavoravamo senza nessuna
informazione sulla pericolosità dell’amianto. In raffineria, solo successivamente iniziarono a fornirci guanti, mascherine e altre protezioni. Prima, nessuno ci aveva detto niente”.
Due ex operai in aula. E’ stato aperto il dibattimento nei confronti di trentasette imputati, tutti ex vertici Eni, tecnici e imprenditori dell’indotto. A parlare in aula, due ex operai. Gli imputati sono accusati di non aver adottato le necessarie misure di protezione per evitare l’esposizione dei lavoratori alle fibre killer dell’amianto. “Eravamo sempre a contatto con le coperte d’amianto che servivano durante la saldatura – ha detto uno degli operai – per anni ho lavorato all’interno dei serbatoi della fabbrica”. A processo, ci sono Angelo Tuccio, Salvatore Di Guardo, Gioacchino Gabbuti, Francesco Fochi, Antonio Borgia, Pier Giorgio Covilli, Giancarlo Picotti, Cesare Riccio, Antonio Catanzariti, Pasqualino Grandizio, Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Ferdinando Lo Vullo, Giuseppe Genitori D’Arrigo, Francesco Cangialosi, Luciano Di Buò, Salvatore Maranci, Vito Milano, Orazio Sorrenti, Vincenzo Piro, Aurelio Faraci, Giuseppe Di Stefano, Giuseppe Lisciandra, Salvatore Di Dio, Andrea Frediani, Giacomo Rispoli, Giuseppe Ricci, Battista Grosso, Arturo Borntraeger, Giovanni Calatabiano, Giuseppe Farina, Salvatore Vitale, Antonio Fazio, Giovanni La Ferla e Renato Monelli. Esce dal giudizio la società Raffineria di Gela spa, che era stata chiamata come responsabile civile. Rimane, invece, Sindyal. I legali di parte civile, ad iniziare dall’avvocato Laura Caci, hanno chiesto ai testimoni di descrivere quanto accadeva in fabbrica, soprattutto nel tentativo di ricostruire l’eventuale esposizione all’amianto di alcuni operai successivamente deceduti. I familiari si sono costituti anche con i legali Vittorio Giardino, Paolo Testa, Concetta Di Stefano, Antonio Impellizzeri e Luisa Campisi. L’attenzione dei magistrati della procura si è concentra sull’organizzazione di aziende dell’indotto che non avrebbero rispettato i parametri di sicurezza. I legali degli ex manager e tecnici Eni, invece, puntano ad escludere qualsiasi responsabilità. La mancata adozione delle misure di precauzione sarebbe stata, stando alla loro linea, solo da addebitare agli imprenditori delle aziende dell’indotto, alle cui dipendenze lavoravano diversi dipendenti morti. Nel pool di difesa, ci sono gli avvocati Giacomo Ventura, Raffaela Nastasi, Piero Amara, Alessandra Geraci, Gualtiero Cataldo, Luca Mirone, Nicola Granata, Carlo e Luigi Autru Ryolo, Carlo Federico Grosso, Attilio Floresta, Salvatore Panagia e Michele Castellano.