Gela. Le amministrazioni pubbliche non pagano, costringendo un imprenditore a dichiarare il fallimento. Sono stati trascinati nell’incubo della disoccupazione anche tredici lavoratori.
Ieri, Emilio Missuto di 39 anni, si è incatenato all’ingresso del nuovo Palazzo di giustizia per intraprendere uno sciopero della fame.
L’amministratore della Cosei, società di costruzioni edili e industriali dichiarata fallita dal Tribunale di Gela, accusa le amministrazioni comunali del sud Italia, con particolare riferimento a quelli di Sicilia e Sardegna, di averlo ridotto al lastrico.
“Aspettavo un provvedimento da un Tribunale della Sardegna – spiega l’imprenditore gelese – Il giudice avrebbe dovuto concedermi un acconto di 138 mila euro. Invece, dopo cinque anni di peripezie, hanno chiesto di nominare un procuratore fallimentare allungando l’iter. Continuerò lo sciopero fino alla morte. Se lo se Stato consente tutto questo è anch’esso un assassino. Per riprendere la mia attività basterebbero 250mila euro a fronte del milione di euro che devo ricevere per lavori eseguiti a enti pubblici. Vanto crediti dal comune di Mazzarrone e Niscemi, ma i veri disagi li ho subito da quello sardo di Santadi, provincia di Carbonia Iglesias”.
La protesta del giovane imprenditore gelese, che in città non ha mai voluto lavorare, è stata ignorata da politici e forze dell’ordine.
“Ho comunicato ad un operatore del centralino del commissariato di polizia e a quello del 118 – sostiene l’amministratore della Cosei – che stato iniziando uno sciopero della fame, nei pressi del tribunale. Eppure, sono stato ignorato da tutti”. Solo nel primo pomeriggio si sono avvicinati all’imprenditore disperato il giudice Luca Solaini e l’avvocato Riccardo Lana che hanno cercato di convincerlo a rinviare la protesta dopo un incontro chiarificatore. La Cosei è stata dichiarata fallita, lo scorso mese, dal Tribunale di Gela “per difficoltà di liquidità per colpa della giustizia italiana lenta – conclude Missuto – Abbiamo una causa pendente di un milione e undici mila euro presso il Tribunale di Carbonia.
La causa è stata avviata nel 2006 ma ancora non trova riscontro. Avevamo realizzato un fiume seguendo le direttive del progettista che ha previsto, nella fase progettuale, la realizzazione dell’argine senza lo scotico e gabbionate riempite con pietra acquistata ma mai risarcita.
Un Ctu, nominato dal giudice, aveva predisposto un rimborso delle spese sostenute per un importo complessivo di circa trecento mila euro. Somme mai ricevute”.