Gela. Un ricorso al tribunale di sorveglianza di Roma con l’obiettivo di ottenere la revoca del regime del carcere duro imposto al cinquantaseienne Emanuele Palazzo. Un ricorso contro il 41 bis. Adesso, la difesa di quello che gli inquirenti ritengono tra le figure di spicco della stidda locale mira soprattutto ad utilizzare le motivazioni della sentenza d’appello scaturita dal blitz “Agorà”. A febbraio, i giudici d’appello di Caltanissetta lo condannarono, insieme ad altri presunti complici, a dodici anni di reclusione. In primo grado, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale nisseno, invece, gli imposero sedici anni. La difesa, rappresentata dall’avvocato Maurizio Scicolone, mise in luce l’assenza di collegamenti ancora in atto tra lo stesso Palazzo e il gruppo della stidda. Un sodalizio criminale che, in base sempre alla linea di difesa, non avrebbe più alcuna organizzazione né sarebbe guidata da figure di vertice in città. Il cinquantaseienne, inoltre, si è sempre dichiarato estraneo agli affari di droga contestati dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta.
Il verdetto d’appello del processo “Agorà”. In secondo grado, questa ricostruzione permise ad Emanuele Palazzo di ottenere una riduzione della condanna. Adesso, le motivazioni che verranno pubblicate dai giudici d’appello potrebbero costituire il nucleo centrale del ricorso da presentare per ottenere la revoca del regime del 41 bis imposto al presunto boss degli stiddari.