Gela. Slitta a settembre l’apertura del dibattimento nel procedimento penale scaturito dalla morte dell’operaio trentenne Francesco Romano. La morte in stabilimento. Il giovane, nel novembre di cinque anni fa, venne travolto da enormi tubi, accatastati lungo la radice pontile della raffineria. Per lui non ci fu niente da fare. Era impegnato, insieme ai compagni di lavoro della Cosmi Sud, in interventi proprio in quell’area. L’astensione proclamata a livello nazionale dalle Camere penali ha indotto il giudice Miriam D’Amore a disporre il rinvio, anche rispetto all’esame delle eccezioni preliminari e all’apertura del dibattimento. Le accuse dei magistrati della procura vengono mosse nei confronti degli allora vertici di raffineria Eni, ma anche della società Cosmi Sud e della Pec srl, titolare dell’appalto, oltre ai responsabili della Sgs Sertec, società addetta ai controlli in fabbrica. A processo, dopo il rinvio a giudizio disposto a febbraio, ci sono Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Fabrizio Lami, Mario Giandomenico, Angelo Pennisi, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Guerino Valenti, Rocco Fisci, Salvatore Marotta, Serafino Tuccio e Vincenzo Cocchiara. Stando alle accuse, l’area di cantiere non sarebbe stata idonea alle attività svolte dagli operai impegnati. Inoltre, sarebbero mancati i controlli sulla catasta di tubi collocata nei pressi della radice pontile e ferma lì da circa sei anni. Manutenzione dell’area inesistente e, addirittura, dati tecnici appositamente modificati per consentire la rapida conclusione dei lavori. Sarebbe questo lo scenario, almeno secondo i magistrati della procura, che avrebbe condotto all’incidente mortale. I familiari dell’operaio morto, fin dall’inizio del procedimento, hanno deciso di seguirlo, costituendosi parti civili, con gli avvocati Salvo Macrì, Joseph Donegani ed Emanuele Maganuco. In aula, così, si tornerà a fine settembre.