Gela. Le indagini partirono dalla morte di un ex operaio dell’indotto Eni, Giuseppe Lauria. Adesso, nel dibattimento che si aprirà davanti al giudice Miriam D’Amore, ci saranno anche Eni e Raffineria di Gela. Il magistrato ha accolto la richiesta avanzata dai legali della famiglia dell’operaio, gli avvocati Adriano Falsone e Giuseppe Licata, costituiti parte civile. Le due società sono state chiamate in giudizio come responsabili civili. A processo, ci sono tredici imputati, tra manager e tecnici della multinazionale. Si tratta di Gregorio Mirone, Giancarlo Fastame, Giorgio Clarizia, Ferdinando Lo Vullo, Giuseppe Salvatore Genitori D’Arrigo, Francesco Cangialosi, Renato Monelli, Marco Saetti, Giuseppe Farina, Salvatore Vitale, Luciano Di Buò, Salvatore Maranci e Vito Milano. Per tutti, due anni fa, arrivò un verdetto di non luogo a procedere. Il gup, in quel caso, non individuò un nesso tra le cariche rivestite e quanto accaduto all’operaio. Decisione, però, poi annullata dai giudici di Cassazione, ai quali si rivolsero i pm della procura. Gli imputati sono stati rinviati a giudizio e ora sono a processo. In base alle accuse, la morte dell’operaio sarebbe da legare all’esposizione all’amianto e ad altre sostanze pericolose, presenti tra gli impianti della raffineria.
La morte dell’operaio. Per gli stessi fatti, altri quattro imputati sono già a processo. In questo caso, sono tutti ex rappresentanti di aziende dell’indotto, per conto delle quali lavorò Lauria. Giovanni Pannuzzo, Salvatore Turturici, Leonardo Baccone e Rocco Questante sono a loro volta accusati di non aver adottato le necessarie misure di precauzione, che avrebbero potuto evitare l’esposizione dell’operaio. Difesi dagli avvocati Flavio Sinatra, Angelo Licata, Maurizio Cannizzo, Angelo Urrico e Raffaela Nastasi, hanno sempre respinto le contestazioni, sostenendo di aver solo fatto parte di cooperative, ma come dipendenti. Il giudice D’Amore, alla prossima udienza, deciderà se riunire i due procedimenti, di modo da trattarli insieme.