La morte di Romano in raffineria, ammessa la perizia dei consulenti: in aula gli ex colleghi

 
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Gela. La perizia redatta dai consulenti dei pm della procura potrà essere valutata anche nel corso del dibattimento, aperto dopo la morte dell’operaio trentenne Francesco Romano. Il lavoratore perse la vita alla radice pontile della fabbrica Eni, nel novembre di sei anni fa. Il giudice Miriam D’Amore ha respinto le eccezioni avanzate dalle difese, che invece si sono opposte all’ingresso in giudizio della perizia tecnica, ritenuta successiva alla conclusione della fase dell’incidente probatorio. Contro le richieste dei difensori, anche il pm Luigi Lo Valvo. In aula, è toccato a tre ex colleghi dell’operaio travolto dopo il distacco di un tubo da ventiquattro metri. I lavoratori hanno ripercorso quei terribili istanti. “Ho sentito un boato – ha detto uno di loro – e sono scappato. Dopo, ci siamo accorti che Romano era finito sotto un tubo e non rispondeva più”. Gli operai hanno risposto alle domande del pm e a quelle dei legali dei familiari della vittima, gli avvocati Salvo Macrì, Joseph Donegani e Emanuele Maganuco.

I lavoratori, in ogni caso, hanno confermato che quell’area di cantiere non sarebbe stata sicura, con l’enorme catasta di tubi, tenuta ferma da sostegni piuttosto discutibili, e probabilmente non adatta a movimentare i tubi. A processo, per rispondere alle accuse (compreso l’omicidio colposo), ci sono Bernardo Casa, Ignazio Vassallo, Fabrizio Zanerolli, Nicola Carrera, Fabrizio Lami, Mario Giandomenico, Angelo Pennisi, Marco Morelli, Alberto Bertini, Patrizio Agostini, Sandro Iengo, Guerino Valenti, Rocco Fisci, Salvatore Marotta, Serafino Tuccio e Vincenzo Cocchiara. Sono manager di Eni e responsabili delle aziende che monitoravano la sicurezza in fabbrica, oltre al titolare della Cosmi Sud, società alle cui dipendenze lavorava Romano.

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